Quarantasei

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«Qualcuno sa dirmi il perché la signorina Klaue non si presenta a nessuna delle mie lezioni?» domanda innervosita la professoressa.

«Veramente non viene a nessuna lezione.» rispondo, felice di poterle aggravare la situazione.

Molto maturo, mi rimprovero, come se possa fregargliene qualcosa delle assenze a scuola.

Sento Leonida dall'altra parte della classe digrignare nervosamente i denti. Mi volto e lo trovo a fissarmi con il suo sguardo più truce, gli occhi di un blu metallico ombrati di rabbia. Tra di noi, l'aria imbarazzata di Adham.

Alla fine della lezione, le classi si riversano nel corridoio illuminato a led. Ogni armadietto è ricoperto da decine di volantini che denunciano persone scoparse: bambini, uomini adulti, anziani.

Vedo Leonida afferrarne un paio e staccarli, strapparli, buttarli a terra con rabbia.

«Ma che gli prende?» chiedo ad Adham.

«Non ne ho idea.» risponde con preoccupazione, «Vado a scoprirlo. Au revoir!» mi saluta frettolosamente.

Mi avvicino alla porta d'uscita e, attraverso il vetro, vedo mio padre tenere ansiosamente sotto sorveglianza la scuola.

Il cielo è nuovamente una spessa contare di nubi grigie. L'aria gelida e il vento impetuoso minaccia una nuova tempesta.

Afferro la maniglia e salgo in macchina: «Non c'è bisogno che fai così, sai? Mi metti ansia.»

«Ogni volta che non ti trovi sotto la supervisione del mio sguardo, io ho l'ansia.» risponde con calma, tentando d'esser dolce ma finendo inevitabilmente col risultare piccato.

«Sarà così per sempre?» chiedo sconsolata, scivolando più giù sul sedile.

«Mi auguro di no.» risponde più a se stesso che a me.

È passato solo un anno da quella cosa, eppure sembra invecchiato di dieci. Gli occhi gonfi, le occhiaie scure, le rughe agli angoli della bocca e spruzzi di capelli grigi sulle tempie.

Mi sento triste a pensare a quante cose siano cambiate da quando il mio problema più grande era non avere amici. Volto il mento verso il finestrino, decisa a evitarmi lo sguardo distrutto di mio padre.

Decine di migliaia di abeti, sempre sull'attenti, sfrecciano al lato della strada nera, bagnata dalle prime gocce di pioggia. Qualcosa, tra le fila disordinate degli alberi, sfreccia alla stessa velocità della macchina.

Torno con lo sguardo dritto davanti a me, certa che si tratti sono di un'inquietante effetto visivo. I tergicristalli cacciano ogni goccia di pioggia, aprendo la visuale sulla strada sempre più grigia e opaca, sempre più cupa.

Con la coda dell'occhio, percepisco chiaramente muoversi qualcosa al confine della foresta. Mi volto lentamente, non propriamente pronta ad incontrare gli occhi verde bile che bruciano d'odio.

Eva serpeggia come un fulmine strisciando sulle radici sporgenti degli alberi, schivando massi aguzzi, sibilando con quella sua tremante lingua biforcuta rossa di sangue. Segue la velocità della macchina senza mai distogliere lo sguardo da me.

Raggiungiamo il vialetto di casa in totale silenzio: mio padre perso nei suoi pensieri malinconici; io senza aria nei polmoni, senza ossigeno al cervello, senza l'uso della parola.

La macchina svolta sulla destra e io perdo il contatto visivo con la bestia. Analizzo gli spazi vuoti della foresta, visibili dal sedile su cui mi trovo, alla ricerca degli occhi verde bile iniettati di sangue, due spilli di rabbia.

«Tesoro? Va tutto bene?» domanda mio padre tirando il freno a mano.

«Papà.» dico, in preda al panico, «Non scendere dall'auto.»

In testa mi si palesa l'atroce immagine dell'enorme anaconda che si attorciglia alla macchina, riducendola in un'informe ammasso di ferraglia.

«Cosa?» chiede aggrottando la fronte e tirando un sorriso confuso, «Ma che dici? Forza, andiamo. Tua madre ci sta aspettando.»

Afferra la maniglia e fa per piegarla, ma io gli affondo le unghie nella coscia con terrore: «Papà, non scendere dall'auto!»

«Ahia! Melanie, smettila!» afferra la maniglia e apre la portiera.

Questa si spalanca in un cigolio che sono certa si sia sentito nel raggio di diversi chilometri. Porta a terra il primo piede, si alza in piedi e chiude lo sportello. Si guarda confusamente intorno, realizzando la strana atmosfera nella quale siamo inglobati.

Poi si gira verso di me e sorride sotto la pioggia: «Vedi? Non c'è nulla qui, ora scen-»

Vedo mio padre spalancare gli occhi e cadere a terra, trascinato per la caviglia dall'enorme anaconda sbucata dal folto della foresta.

Grido e spero che mia madre non se ne accorga, spero che resti in casa. Scendo dalla macchina, le giro in torno pronta a impormi come scudo tra Eva e mio padre. Tutto questo con una lentezza disarmante, come le scene a rallenty dei film.

Trovo mio padre starnazzante a terra, la gamba un ammasso di carne deturpata. Gli occhi vitrei, sembra quasi incosciente, quasi che neanche si renda conto di ciò che sta accadendo.

L'odore di ferro si confonde con quello della pioggia.

Eva sguazza nella pozza di sangue affondando le sue lunghe zanne nella carne, strappando e deglutendo; sono certa che se si trovasse nella sua forma umana mi rivolgerebbe il suo ghigno crudele.

Io non riesco più a sentirmi: so che sto urlando, ma non riesco a percepirmi. Sono aldilà, fuori da me stessa, incapace di far muovere il mio corpo pietrificato.

Riesco solo a pensare: Akil, Akil, Akil!

E la sua risposta arriva un interminabile istante più tardi. L'enorme aquila occupa tutta l'ampiezza del cielo sopra di noi, grida di rabbia picchiando in discesa. Eva scatta di lato, decisa a non farsi catturare.

Akil batte le sue enormi ali e riprende quota per poi ripiombare in basso, pronto ad afferrarla e strapparla via dal corpo inerme di mio padre. Ad aiutarlo nell'impresa, un nuovo complice: un corvo spennacchiato.

Eva, braccata in entrambi i lati, cerca di strisciare via, ma i due riescono ad afferrarla per capo e per coda. Si alzano nel cielo contendendosi la serpe che si dimena nel disperato tentativo di liberarsi.

Mio padre a terra, fradicio di pioggia e del suo stesso sangue, rantola di dolore.

La porta della casa si spalanca e mia madre ci corre in contro terrificata: «Santo Dio, cosa è successo!» grida.

«Mamma, chiama un'ambulanza.»

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