XXIX

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Akil...

La terra sotto gli artigli, gli aghi di pino che si incastrano nel pelo, il gelo che apre i polmoni.
L'odore di sangue.

Corro, tracciando un percorso dietro me.
Il branco. Il branco ha cacciato.
Mi spetta una parte del bottino: questi sono i patti. Lo stomaco protesta in un gorgoglio, grida per la mia lentezza; troppo tempo è passato dall'ultima caccia. Da quando ho collegato la mia anima a quella di Dahlia, non ho più avuto il tempo per procurarmi da solo da mangiare.

Il branco di lupi mi concede una piccola parte delle loro prede in cambio della mia protezione dagli altri Totem. Anche se sanno bene che li proteggerei comunque.

Esisteva un periodo, non troppo tempo fa, durante il quale le lupe restavano nascoste nelle loro tane con i cuccioli. C'era qualcuno, un serpente, che si cibava di loro. Aspettava che fossero soli e indifesi per spalancare le larghe fauci e ingoiarli in una volta sola.

Abominio.

Quale Totem pensa una cosa del genere? Quale Totem fa una cosa del genere?

La luna è alta nel cielo: non la vedo, in realtà. Ma sento la sua forza, la sua influenza, solleticarmi le spalle. Se esiste una cosa che mi entusiasma della mia condizione di Protettore, è la possibilità di essere un lupo. Arrampicarmi sulle rupi innevate, guardare l'intera foresta intorno a me e ululare; un canto alla luna, un richiamo, un grido. Un omaggio alla Madre.

Essere un'aquila vuol dire essere liberi; essere un cervo vuol dire essere fieri. L'orgoglio: ecco cosa accumuna i miei tre simboli.

Sono una scintilla d'ambra, sono una seconda possibilità.

Sono un lupo ferito in fondo alla gola nera, sono un'aquila dall'ala spezzata, sono un cervo sbranato dai puma. Sono la loro seconda possibilità. Sono una scintilla che si divide in tre scaglie luminose. Sono la reincarnazione.
Sono l'unica barriera che li separa dalla morte.

Non sono come Leonida, incarnatosi nella carcassa di una creatura orami morta. Ha violato il suo cammino verso un mondo nuovo, ha interrotto il suo trapasso, ha negato alla terra il nutrimento che le era dovuto. È l'egoismo umano, la paura di morire, l'indifferenza per il corpo, è l'oltraggio e l'offesa verso il prossimo.

Un nuovo ululato interrompe il cammino delle volpi, che si immobilizzano come statue nella speranza di passare inosservate.

Rizzo le orecchie, mi blocco sul posto con la zampa anteriore alzata e annuso l'aria.

Sangue.

Svolto bruscamente alla mia destra e riprendo a correre con famelico entusiasmo. I primi fiocchi di neve della tempesta volteggiano in aria; alcuni si incastrano tra i rami spogli, altri si adagiano al suolo e altri ancora scivolano sul mio pelo e si sciolgono a contatto col calore.

Supero una schiera di arbusti intagliati dalle corna dei cervi, salto un ruscello che scorre con determinazione e mi ritrovo davanti un branco di lupi. Alcuni di loro hanno il pelo nero come la notte, altri bianco come la luna. Altri ancora, invece, sono grigi come la roccia. Grigi come me.

Non appena percepiscono la mia presenza, mi fanno largo mostrandomi la preda. A terra, un cervo dagli occhi vitrei. La pancia aperta il due, le costole che bucano la pelle a brandelli e sulle quali scivola il sangue denso, gli organi sparpagliati disordinatamente a terra.

L'odore è invitante, ma la vista è terrificante. Il palco di corna poco più piccolo del mio, il manto maculato proprio come il mio.

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