XXXVIII

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Leonida...

Lascio la presa e la serpe si contorce in aria con le fauci spalancate, poi ruzzola malamente a terra.

Scendo in picchiata e atterro proprio affianco a lei. Allargo le ali e lascio che le ossa si allunghino, le piume si ritirino e il becco si frantumi. Urlo, tremo e quasi piango per il dolore. Quando apro gli occhi, Eva è nuda, rannicchiata contro la parete di una roccia muschiata.

La pioggia continua a cadere, impiastricciandole i capelli e lavandole via tutto il sangue che ancora le imbratta il mento.

La osservo: si muove ancora con eleganza nonostante le ossa, appena sotto il sottile strato di pelle screpolata, minaccino di sbriciolarsi come gesso. I capelli radi sembrano leggermente più luminosi dell'ultima volta, quasi il suo ultimo pasto sia riuscito a rinvigorirla. Appena si volta ne ho la conferma: gli occhi le brillano come la prima volta; le labbra, non più prosciugate come chicchi d'uva passa, schioccano contro la sua lingua ancora rossa di sangue fresco. Il sorriso crudele, perfido. Magnetico. È stupenda, nonostante tutto.

«Cosa cazzo ti passa per la testa!» sbraito, premendo i pugni contro la terra umida per tirarmi in piedi.

«Beh, che vuoi? Mi devo nutrire.» risponde scrollando le spalle.

Scivolo con lo sguardo sui suoi seni, sull'ombelico, il punto vita, le cosce, le caviglie. È denutrita, su questo non c'è dubbio; ma non esiste donna che possa competere con la forza della sua bellezza. Maligna bellezza.

Il mio corpo reagisce al più primordiale degli istinti, quello della conservazione della specie, quello della carne e del sangue.

Eva abbassa lo sguardo e tira su un sopracciglio: «Come sei volgare.» sentenzia mostrando indifferenza.

Stupida troia, non c'entra un cazzo la volgarità!

«Non potresti nutrirti nei boschi come facciamo noialtri?» la provoco, già al corrente delle sue motivazioni.

«Mi stai invitando a caccia di vermi insieme a te, per caso?»

Touché.

«Sta zitta.»

«Come sei suscettibile, non mi ricordavo fossi così permaloso.»

Che ne sai, tu, di cosa cazzo provo? Di cosa mi succede nei polmoni quando ti vedo? Di cosa mi fai?

«Devi smetterla di uccidere la gente. È innaturale.» dico, la voce grave.

Non mi importa se elimina dalla faccia della terra qualche inutile vecchia, qualche ragazzina ingenua o chiunque altro. M'importa che il suo distaccarsi dalla natura di Totem possa finire con l'ucciderla. Che se la mangi pure, qualche vecchia, se non ci sono conseguenze!

«Ah, ma per favore! Non farmi la paternale.» si siede sulla groppa di una roccia e accavalla le gambe, «Non sono un Totem, sono una mutaforme. Posso fare quello che voglio.»

«Chi te le ha messe queste idee in testa? Quel bamboccio al quale elemosini ridicole attenzioni?»

«Sai, Leo, ho una testa pensante. Non ho bisogno di nessuno.» risponde socchiudendo gli occhi incorniciati da lunghe ciglia nere, «E non elemosino attenzioni, io. Puoi dire lo stesso?» conclude indicando la reazione naturale del mio corpo di fronte al suo.

Vorrei ucciderla, sbranarla con i denti affilati della mia vera forma: il leone. Vorrei graffiarla con i mei artigli, squarciarla. Vorrei mostrarle la mia supremazia, vorrei ricordarle chi sono. Vorrei farle toccare la criniera che adorava tirare a forza quando la scopavo, vorrei ruggirle il mio odio, vorrei urlarle "ti ricordi di me, ora?".
Ti ricordi come eravamo?

Leonida il leone, Eva la serpe. Eva la cui seconda forma era la pantera. Due bestie africane tra i pini delle montagne, due bestie africane nella neve e sotto la pioggia. Due bestie ormai estinte.

Leonida il corvo, Eva la serpe.

Continua a guardarmi in attesa di una reazione: ama provocarmi e ferirmi, uccidermi e torturarmi.

La odio, la odio, la odio.

Sento le gambe fremere e le mani bruciare. Mi scaglio su di lei con tutta la violenza della quale sono capace; le porto le dita intorno alla gola e stringo con forza, sempre più duramente.

Nessun Totem può ucciderne un altro. Ma cosa significa realmente? Significa sacrificio.

Sento le guance bruciarmi di lacrime di rabbia, vedo il suo viso ingrigirsi, spaccarsi e sbriciolarsi come cenere. Sento il mio viso ingrigirsi, spaccarsi e sbriciolarsi come cenere.

Muoio io, muori tu. O nessuno dei due, vediamo cosa vuole il destino.

D'improvviso, sopraffatto da un istinto ancora più forte, allento la presa e spingo la mia bocca contro la sua: schiude le labbra e lascia che la baci, che le nostre lingue si incontrino. Lascia che assapori il sangue del suo pasto intanto che i nostri visi riprendono colore.

La prendo, è mia. Mi accoglie, non mi respinge.

Sei mia.

«Vuoi sapere una cosa?» mi sussurra all'orecchio un istante prima di raggiungere il culmine del piacere.

«Cosa?» chiedo, tremante.

Eva aspetta l'istante preciso in cui la natura del mio corpo si sfoga per rispondermi: «Non sto pensando a te, ora. Né mai.»

Puttana!

La spingo via con forza, gioendo quando la vedo sbattere con il cranio contro la parete di una grotta, concedendo al mio orgoglio una ricompensa.
Orgoglio di leone ferito.

Mi alzo in aria e lascio che il corvo del cazzo sostituisca questo mio corpo usato, sfruttato, disprezzato.
Odiato.

La risata divertita di Eva mi segue fin sopra la cima degli abeti.

Puttana... penso, questa volta percependo il cuore pesare almeno dieci chili in più.

Puttana.

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