Rallenta il passo, imitando il placarsi del mio cuore. Il gracchiare del corvo è ormai lontano, così come gli occhi verde bile del serpente.
Intorno a noi, una macchia scura di abeti centenari. Questi si allungano verso il cielo, solleticando il manto di nuvole plumbee e intrise di pioggia. Le chiazze di verde sotto i nostri piedi sono decorate da radi ciclamini sfuggiti al freddo di qualche settimana prima ma che, sicuramente, tornerà a congelarli nella loro boschiva bellezza fino all'arrivo della primavera.
Il cervo s'inchina, consentendomi di scivolare sul terreno coperto di soffice muschio. Il suo manto chiaro trasmette conforto, sicurezza, protezione. E la cosa è sorprendente perché i cervi non sono predatori, sono prede. Prede come me.
Akil si volta a guardarmi: i passi venusti, di una bellezza armoniosa, quasi perfetta, propria dei ballerini di classica; le grandi corna che si diramano in più appendici, coperte da fili d'edera incastratisi durante la corsa; gli occhi ambra che non lasciano alcun dubbio sulla sua reale identità.
È la mia aquila. Il mio lupo. Il mio cervo.
Akil si alza su due zampe scalciando come uno stallone irrequieto, lasciandosi poi ad un atroce grido di dolore.
Mi tiro indietro colta dallo spavento, intanto che la sua carne si lacera, le ossa si frantumano e le corna si ritirano.
Davanti a me, ora, c'è un ragazzo che si contorce in spasmi di pura sofferenza.
M'inginocchio a terra al suo fianco e gli allungo una mano sul viso, non sapendo affatto cosa fare per aiutarlo. So, però, che vederlo soffrire mi distrugge: è come vedere la creatura più innocente al mondo essere punita per pagare il peccato di un'umanità corrotta, egoista, prepotente.
Passa qualche secondo e il ragazzo riapre gli occhi; sempre quegli occhi che ogni sera mi descrivo mentalmente per non dimenticarne neanche un dettaglio. Gli arruffati capelli color miele sporchi di terra, i lineamenti dolci e solenni ancora contratti in una smorfia di dolore e la candida, vellutata pelle color pesca.
Nudo, di fronte a me, non trasmette nulla che possa essere interpretato con malizia. È solo nudo, nudo come lo è una pianta, come lo è una roccia, come lo è la mia anima davanti alla sua presenza così rassicurante, così confortante. La mia mano ancora sulla sua guancia, cattura tutto il calore del suo corpo che non si lascia piegare dal freddo pungente dell'aria che ci avvolge.
Akil mi afferra una mano e si tira in piedi. È più alto di me di almeno due teste, le spalle larghe, le braccia forti e il petto gonfio.
La sua pelle sa di buono, di terra, di aria, di neve, di pino, di fiori, di foresta. Una tempesta di odori che mi confonde la testa.
Il ragazzo mi sfiora la guancia con la sua mano e a me viene quasi da piangere; e, infatti, piango. Non un pianto di tristezza, ma di qualcosa di totalmente estraneo... vedere la creatura più unica e pura che esista, poterla toccare, avere il privilegio di essere nei suoi pensieri. È come una visione divina, un miraggio celestiale accessibile solo a pochi eletti.
«Non piangere.» sussurra.
Le lacrime si asciugano e lo sconvolgimento di emozioni che fanno a cazzotti nel mio petto si arresta: rimane la semplice, autentica meraviglia. Senza, ovviamente, escludere la curiosità.
«Tu... tu sei...»
«Sono il tuo Totem.» afferma con decisione, forse anche con una punta d'orgoglio.
La terra sotto i nostri piedi trema e le montagne sussultano, attraversate dalla scarica di energia mistica.
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TOTEM
FantasyPROTETTA DA COPYRIGHT PERCHÉ DEPOSITATA REGOLARMENTE! [COMPLETA, IN REVISIONE] Dahlia si trasferisce in un paesino di montagna dopo un evento traumatico. La speranza dei suoi genitori è quella di riuscire a farle dimenticare l'accaduto, ma il desti...