Cinquantanove

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Leonida...

«Allontanatevi!» grida l'operatrice, «Libera!»

Vedo il mio riflesso sul vetro che mi separa dalla sala di rianimazione: gli occhi gonfi e rossi, le labbra morsicate, due scie lucide sulle guance.

Chiudo gli occhi e mi rivedo volare alla finestra di Dahlia, avvertirla dell'incidente di Adham -omettendo il coinvolgimento di Akil- e supplicarla di chiamare i soccorsi.

«Di nuovo: libera!» il torace scuro del mio Protetto si alza sotto la scarica elettrica del defibrillatore.

Due larghe macchie colorano la sua pelle ustionata.
Porto una mano alla vetrata, proprio come fanno nei film. Speravo mi facesse sentire meglio, più vicino a lui. Ma non serve a un cazzo, solo a sentirsi terribilmente ridicoli.

Chiudo gli occhi e mi vedo volare veloce al vecchio cinema. Mutare nella mia forma umana e resistere ai dolori atroci, intanto che mi vesto in fretta per poter raggiungere Adham in ospedale.

«Un'altra volta!» l'operatrice si asciuga il sudore sulla fronte con un polso, «Libera!» preme le piastre del defibrillatore e un ronzio mi assicura che la scarica elettrica è arrivata al cuore di Adham.

Un secondo di silenzio totale, solo il rumore del respiro corto nelle narici.

Poi, il suono elettronico del macchinario che monitorizza i parametri vitali: una linea verde su sfondo nero che si alza in continui, anche se lenti, bip.

Concedo ai miei polmoni di svuotarsi, sospirando di amaro sollievo. Poggio la fronte contro la vetrata e reprimo l'impulso di prenderla a testate.

«Veloci, liberate la sala operatoria.» ordina la dottoressa portandosi la mascherina verde su naso e bocca.

La barella di Adham viene spinta nel corridoio. Seguo gli infermieri che parlano tra di loro, totalmente disinteressati della situazione del paziente sull'orlo della morte nel loro maledetto lettino d'ospedale.

Sta calmo, mi ripeto mentalmente, sta calmo.

«Signore,» mi dice uno dei due, «Lei deve restare qui.»

L'altro continua la strada che conduce alla sala operatoria.

«Non me ne frega un cazzo delle vostre regole. Voglio controllare che facciate bene il vostro lavoro.»

«Glielo assicuro io, signore. E ora la prego...» mi afferra per il bavero della giacca di pelle nel tentativo di trascinarmi nella sala d'aspetto.

Scanso malamente la sua mano guantata e lo afferro per il colletto della stupida divisa ospedaliera che lo fa sentire tanto importante: «Se lui muore, io vi ammazzo tutti quanti.» ringhio in un sussurro.

Se lui muore, muoio anche io.
Sinceramente della mia sorte me ne sbatto. Ma della sua...

Giro i tacchi e lascio che la troupe medica compia il proprio dovere. Anche perché se dovessi essere cacciato dall'ospedale, diventerebbe difficile riuscire a monitorare ogni azione che si compie intorno ad Adham.

Mi siedo sui sedili di plastica azzurra. Un'anziana signora accanto a me si fissa le ginocchia, forse concentrata sui pensieri che le tormentano la mente. Una donna incinta si stringe la pancia di pochi mesi e sorride al vuoto: forse sta aspettando i risultati di qualche analisi.
Batto nervosamente i piedi, incapace di star fermo.

Chiudo gli occhi e mi vedo correre tra i rovi del bosco, inciampare in una pozzanghera e ruzzolare sul marciapiede al limitare della strada, subito fuori dalla foresta. Rivedo l'insegna luminosa dell'ospedale brillare di normalità nella fioca luce del crepuscolo.

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