XL

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«Non ho fame, vado a dormire.» dico.

I miei mi guardano con preoccupazione, poi, come da consiglio dello psicologo, fingono un sorriso e mi augurano la buona notte.

Salgo le scale, raggiungo la mia stanza, due giri di chiave e mi lascio scivolare con la schiena sulla porta fino sedermi a terra con le ginocchia tirare al petto.

Non ho fame: ho lo stomaco sazio di paura.

Guardo aldilà della vetrata e vedo un cielo di una strana colorazione: non è blu, non è nero, non è verde. È tutte e tre le cose. È uno di quei colori strani, un po' stonati, come suonano alle mie orecchie le note in bemolle. C'è qualcosa di amaro.

Le bianche cime innevate assorbono gli ultimi flebili raggi di sole, illuminando di giallo quelle stesse vette traditrici già pronte a cibarsi dell'argento della luna.

Giorno e notte sono la stessa cosa, cambia solo la percezione dei colori. E il freddo, forse. O forse è solo la nostra convinzione a dirci che di notte fa più freddo; che presuntuosi, i termometri!

Una separazione netta tra bianco e nero, spezzata unicamente dalla veloce sfumatura rossa del tramonto che termina nell'amara aurea verdastra del crepuscolo.

La stessa tonalità verdastra delle squame di Eva.

Che sia vero? Che tra lei e Akil ci sia stato qualcosa? O ci sia ancora qualcosa?

Tremo al solo pensiero, non riuscendo a reperire una forma di gelosia della quale non ero neanche a conoscenza.

No, non sono gelosa, mi difendo non riuscendo realmente ad accettare il fatto che io abbia un motivo per esserlo.

O magari di motivi non ne ho, infondo è stata quella malalingua di Leonida a parlare.

A beffeggiarsi, un paio di corvi dall'ombroso piumaggio gracchiano in volo oltrepassando velocemente la mia vetrata.

Mr Dunky salta giù dal letto e si infila con prepotenza nello spazio tra il mio petto e le ginocchia, costringendomi ad incrociare le gambe per lasciare che mi si acciambelli comodamente sulle cosce.
Miagola, concludendo il saluto con uno sbadiglio.

Devo aspettare ancora un altro paio di minuti prima che l'apertura alare di Akil copra quasi per intero il mio campo visivo. Apro la finestra, lascio che atterri sulla moquette, aspetto che muti nella sua forma umana e mi inginocchio accanto a lui coprendolo con la trapunta di Mr Dunky.

«Ciao.» dico accennando un sorriso.

«Ciao.» risponde lui, tirandosi seduto e sfiorandomi la guancia con la mano ruvida per il freddo.

Piego la testa di lato per nascondere il viso, nell'invano tentativo di prendere tempo per cancellare dagli occhi ogni traccia di paura.

«È inutile che ti nascondi, sento cosa provi.» dice, portandomi dietro l'orecchio una ciocca ribelle, «Vuoi dirmi che succede?»

«C'è qualcosa tra te e Eva?» sparo.

«No.» secco, deciso.

«E c'è stato?»

«Si.» secco, deciso.

«Si?» domando incredula, ferita.

«Si. Ma è diverso da ciò che stai pensando: Eva possiede delle capacità persuasive derivanti dalla sua natura di serpente.» inizia, «Ero appena nato, impaurito, spaesato. E lei sembrava un'amica e non riuscivo a dirle di no. Solo quando sei arrivata tu, solo quando sono riuscito a non aver più bisogno di lei, mi sono potuto staccare. E ho capito quanto fossi stato... plagiato.» dice con calma, non cercando in nessun modo di giustificarsi. Vuole solo spiegarmi la realtà dei fatti, cancellarmi dallo stomaco quel senso di pesantezza.

«Un secondo,» interrompo, «hai detto "appena nato"? Adham dice che sei arrivato un anno fa.»

«È esatto. La mia scintilla d'ambra è entrata nell'aquila morente proprio un anno fa.»

Mi racconta di come si fosse sentito forte e invincibile i primi giorni, mi racconta anche del successivo declino fisico e mentale. Aveva bisogno di un Protetto e a quel punto Leonida glielo aveva sottratto; non se l'è presa, ogni Totem ha il diritto di proteggere qualcuno. Ne ha il dovere.

Eva gli stava vicino, cacciava per lui, gli curava le ferite, gli teneva compagnia la notte. Leonida si rafforzava grazie al suo legame con Derek, un ragazzino instabile dagli istinti suicidi. E Akil si indeboliva.

A quella parola, suicidio, sento lo stomaco accartocciarsi come carta sul fuoco. Distolgo lo sguardo e mi distraggo tormentando le pellicine ai lati delle unghie.

Ma Leonida era ancora più instabile del suo protetto: era ossessionato da Eva, la seguiva, la minacciava, attaccava Akil e non adempiva ai suoi compiti di Totem. Derek ha abbandonato la strada e si è lanciato nel fiume gelato. A quel punto per Leonida era stata scritta la parola "fine", ma qualcosa ha voluto dargli una seconda possibilità, un corvo in avanzato stato di putrefazione. Secondo lui, è colpa di Akil se ha perso il suo Protetto.

«Stavo morendo, quando sei arrivata tu.» dice, piegando la testa in avanti e accennando un sorriso, «È strano, vero? Il Totem salvato da Protetto.»

«Non è strano.» mi sento rispondere, «È equilibrato.»

«Equilibrato, sì.» concorda piegandosi verso di me.

Si avvicina tanto da riuscire a sentire il suo odore: acqua piovana, pino, terra. Mi sfiora la guancia con le labbra, fino a scivolare all'angolo della bocca. Chiudo gli occhi. Un bacio leggero, dedicato, casto. Un bacio che mi riempie lo stomaco di ossigeno, mi sento come sulle montagne russe, come quando la macchina a tutta velocità prende un dosso, come quando nei sogni si crede di volare.

Ed ecco che mi torna in mente una cosa.

«Aspetta un attimo.» sussurro, allontanandomi.

Mi inginocchio accanto al letto, mi piego e guardo sotto: infilo la mano ed estraggo un bracciolo di cuoio.

«Ho avuto un'idea.» dico, porgendoglielo.

Akil lo afferra confusamente, lo analizza e capisce. Gli sfugge un sorriso che mi dona speranza: «A cosa servirebbe?» chiede, divertito.

«Posso fasciarmi il braccio con questo, posso stringere abbastanza fronte affinché non mi si sfili. Così non puoi ferirmi: niente tagli.»

«È comunque rischioso.»

«Perché?»

«Perché i tuoi potrebbero accorgersi della tua assenza.» dice, più seriamente.

«Ho chiuso la porta a chiave e li ho informati che avevo bisogno di dormire. Non verranno a cercarmi.» insisto, alzando le spalle.

Akil torna con lo sguardo sul bracciolo e sorride: «Va bene, ma saremo di nuovo qui prima che il buio prenda il sopravvento.»

«Ci sto.» rispondo elettrizzata.

Un compromesso accettabile.

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