XXI

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Leonida...

Il solito dolore.

Ogni volta che devo uscire dal corpo del corvo è come rinascere. È per questo, secondo me, che i bambini piangono dopo il parto: essere partoriti fa male quanto partorire. È il prezzo che paga l'umanità, una specie di tassa speciale sull'esistenza. O magari è solo il modo che serve per metterci in guardia, per farci capire che questo pianeta non è un Eden, non è un Paradiso.
Nascere e morire, in fondo, sono la stessa cosa; e fanno male allo stesso modo.

Questa radura può anche non essere il più empireo dei luoghi, ma fino a quando verrà calpestata dalla mia Eva, non esisterà Paradiso che possa competere.

Le squame della serpe si allargano e si spezzano nell'atto della mutazione alla forma umana.
Poi il solito rito: l'urlo agonizzante, le convulsioni, il tremore.

Lei, la donna più bella dell'universo. Bella quanto perfida. Una Venere che sorge dal muschio, coperta solo dai capelli dorati che scendano in morbide onde fino a solleticarle i fianchi. La bocca dischiusa, le palpebre tremolanti. Le iridi verde smeraldo, verde speranza.

Un'armonia spezzata dalle crepe sulla pelle e dal pallore del volto.

«Sei proprio una stupida.» sbraito, avvicinandomi a passo deciso.

«Vattene Leonida, mi hai già rovinato abbastanza l'umore, per oggi.» ribatte lei, senza neanche guardarmi in faccia.

Mi sale una voglia atroce di metterle le mani intorno al collo e stringere, stringere, stringere fino a quando non sento la trachea spezzarsi. Voglio ucciderla, ma le regole della nostra natura non me lo consentono. Neanche provandoci, neanche desiderandolo davvero, potrei toglierle la vita. Né a lei né a quel bamboccio di Akil.

«Cosa cazzo avevi in mente? Non puoi uccidere un Protetto!» le urlo contro.

«Falla finita, non volevo mica ucciderla.» mente, mente spudoratamente.

«Lo sai che succede, vero? Lo sai che uccidendo quella ragazza, condanneresti a morte anche te stessa?»

Eva sbuffa alzando gli occhi al cielo. Mi da le spalle per inoltrarsi nel fitto della foresta. Seguo con gli occhi il movimento del bacino, le curve morbide e sinuose che ondeggiano da una parte all'altra sfoggiando tutte le doti persuasive, ipnotiche, delle quali dispone.

La raggiungo in fretta, calpestando il manto di foglie rosso sangue che ricopre il suolo.

«Mi hai capito?» l'afferro per il polso e la costringo a voltarsi.

«Ascoltami: non ho bisogno del cane da guardia. Non volevo ucciderla, solo spaventarla. Magari così decide di lasciare questo posto.» risponde, stizzita.

«Vorresti dire: magari così decide di lasciare Akil.» ribatto, non celando in nessun modo la rabbia che infuoca la mia voce.

«Che c'è? Sei geloso?» il sorriso serpentesco che le tinge il volto illuminandole gli occhi grandi e scintillanti.

Avvicina il suo viso al mio, mi sfiora con le labbra e lascia scivolare le curve nude del suo corpo sulla mia pelle. Ogni centimetro di me risponde a quel richiamo bestiale, naturale, istintivo.

E, inevitabilmente, mi ricordo delle notti passate sdraiati sui rami, il suo profilo illuminato dalla luna, le corse sotto la luce delle stelle nelle nostre vere forme di Totem. Ricordo le sue risa che echeggiavano leggere nel cinema abbandonato, la mia tana. E il secondo nel quale il mio cuore si è spezzato in decine di migliaia di piccole, minuscole, infinitesimali schegge di vetro. I suoi occhi per Akil, di totale indifferenza per me e per tutto ciò che rappresento.

Non cederò ai suoi subdoli giochi.

Afferro il suo viso con una mano, premendo le dita sulle sue guance: «Sei una stronza.» sibilo, non riuscendo a cancellare il dolore dai miei occhi.

Eva alza un sopracciglio e sorride con soddisfazione: «Sei geloso.» sentenzia.

Stronza. Perfida, lurida, stupida troia!

Vorrei baciarla, ucciderla, amarla, odiarla. E non posso fare neanche una di queste cose. Ci sono solo io e l'agghiacciante fuoco che brucia e avvolge i miei organi quando lei si trova nelle vicinanze.

Oppure: ci sono solo io. E basta.

«Da quando è arrivato quell'idiota sei impazzita.» dico sforzandomi di trattenere la rabbia, «Non hai più avuto neanche un Protetto. Sai, vero, che questo ti ucciderà? La tua pelle si sta già spaccando.» le indico il viso.

«Pensa a te. Da quando ti sei fissato con me non sei più stato un Totem per nessuno. O magari...» insinua piegando gli angoli della bocca in un ghigno crudele.

Non dirlo. Tu non mi diresti mai una cosa del genere.

«... non mi dirai mica che non ti sei ancora ripreso dal suicidio del tuo Protetto, vero?»

Drake. Ragazzo debole, fragile, solo... proprio come Dahlia. Avrei dovuto proteggerlo, ma quando Eva ha perso la testa per quel coglione di Akil, il mio ruolo di Totem non ha avuto più importanza. Passavo le giornate a pedinarla, a tormentarmi, a logorarmi con le conversazioni che riuscivo a captare. Drake, solo e senza aiuto, si è lanciato dal ponte dritto nel fiume. Ed io non c'ero.

Sono quasi morto. Se non ci fosse stato quel cazzo di corvo quasi in stato di putrefazione, la mi anima non avrebbe trovato nulla alla quale appigliarsi. E, come era già successo la prima volta, sono tornato ad essere un Totem.

Sono passate settimane prima che riuscissi a mutare alla mia forma umana. Settimane passate a contorcermi dal dolore, a beccare i vermi che si avvicinavano alla mia carne putrefatta, a supplicare il perdono di Drake. Poi il corpo è guarito e il dolore ha lasciato spazio all'odio: passavo ogni secondo ad architettare la mia vendetta.

Avrei fatto ad Akil quello che lui ha fatto a me. Avrei portato il suo Protetto al suicidio e mi sarei assicurato che nessun cadavere di animale si trovasse nelle vicinanze di Akil. E avrei anche riavuto Eva.

«Non ti preoccupare per me, dolcezza.» dico, mascherando lo strazio con strafottenza, «Ho già qualcuno in mente che potrebbe aver bisogno del mio aiuto. In effetti ci sto già lavorando su. Tu, piuttosto, ricordati che il mio piano avrà successo a prescindere dal fatto che tu riesca o meno a cacciare Dahlia dal paese.» sorrido, soddisfatto appieno dalla sua espressione spaventata.

«No, non potrai mai avere tutto sotto controllo. Ogni piano ha una falla, ed io farò di tutto per trovarla.» risponde, portando le mani a coprirsi le sue nudità.

Gesto che mi spezza in due: cosa cazzo siamo ora?

«Tu mi stai solo aiutando, invece. Perché se Akil rimane senza Protetto per troppo tempo, finisce col crepare; se Dahlia si suicida, finisce comunque col crepare.»

Eva si infuoca: «E se io ammazzo Dahlia ti faccio solo un favore.»

L'afferro per le spalle ignorando i suoi tentativi di scrollarsi le mie mani di dosso: «Io voglio che Akil muoia, non me ne frega un cazzo se ci va di mezzo Dahlia. Ma tu non vai da nessuna parte. Non uccidere quella ragazza e trovati uno stupido Protetto.»

Eva muta velocemente nella sua forma di serpente, scivolando dalle mie mani. Striscia via lontano alzando sbuffi di foglie e terra.

Lontano abbastanza da non sentire lo sgretolarsi del mio cuore.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora