Quando vivevo in città, il venerdì o il sabato sera erano giorni come altri. Non andavo in discoteca, non uscivo con le amiche per locali e, sicuramente, non andavo a ubriacarmi in qualche squallido posto. Non perché volessi cucirmi addosso l'etichetta della snob asociale, introversa e misteriosa. Non me ne fregava nulla di costruirmi un'immagine -o magari una personalità- per spiegare alla società il mio scarso interesse per i rapporti umani. Semplicemente non mi piaceva ballare, uscire, ubriacarmi.
Ma, come ci si aspetterebbe dalla ragazzina da manuale, timida, impacciata ed emarginata dalla società, alla proposta indecente di uscire con un gruppo di ragazze fighette non sono riuscita a dire di no. Mi sono sentita invadere i polmoni e inebriare la testa della speranza nociva di far parte finalmente di qualcosa. Se le centinaia di libri che avevo letto mi avevano insegnato qualcosa, era certamente che un gruppo di ragazze popolari che invita una sfigatella qualunque alla caccia notturna, è per forza una trappola. Ma cosa fa la verginella che si vede scivolare sotto gli occhi la possibilità di poter finalmente far parte del mondo? Ignora ogni segnale.
E così ho fatto io.Stupida.
Di vestiti non ci ho mai capito molto: pensai bene di infilarmi un vecchio paio di jeans neri e una maglietta grigia di una band sconosciuta, tanto per darmi l'aria di quella che non le importa cosa si mette addosso. Un filo di rossetto rosso –mossa alquanto audace per i miei standard– e coda di cavallo. Una volta raggiunto il luogo d'incontro con le altre ragazze, Marina aveva storto il naso ed era scoppiata a ridere. Ora che ci penso non era molto diversa da Eva.
Comunque sia, mi ha spinta in macchina e mi ha convinta –costretta– a infilarmi le sue calze a rete dalle maglie larghe, una gonna a metà coscia e uno striminzito top scarlatto che lasciava esposta tutta la pancia. Via la coda di cavallo e doppia passata di rossetto. Ora sì che mi consideravano una puttanella del gruppo! E quanto ne ero stata felice.
Se solo potessi, tornerei a quel preciso istante e mi prenderei a schiaffi. Magari riuscirei ad impedire alla mia vita di andare a rotoli.
«Tesoro?» chiama mia madre dopo due leggeri colpi alla porta, «Ti ho portato questa. Dicono che la cioccolata stimoli gli ormoni della felicità» aggiunge, allungandomi la tazza fumante nella quale galleggia un marshmallow zuccherato.
Alzo un sopracciglio.
«Merda, mi è uscita male.» si scusa battendosi la mano contro la fronte.
«Nessun problema. Magari funziona davvero. E puoi stare tranquilla, non sono depressa» la rassicuro con un sorriso un poco forzato.
Lei fa per andarsene, ma poi si volta di colpo: «Ah, e non prendere esempio da me: le parolacce sono orribili, non dirle.»
«Hai ragione Ma', le parolacce sono proprio una merda!»
Alza un dito in segno di rimprovero poi scoppia a ridere.
Quando si richiude la porta alle spalle, mi cancello dalla faccia quella smorfia che dovrebbe essere un sorriso.Se prima passavo i weekend a leggere, intervallando attimi di quiete a istanti di tormento, arrovellandomi il cervello nel tentativo di capire cosa c'è che non va in me, ora me li godo appieno: libri, film, coperte calde e le fusa di Mr Dunky. Di piacere ad Eva o a chiunque altro proprio me ne sbatto.
La pioggia picchia con trepida insistenza contro la vetrata della mia camera; il panorama resta offuscato oltre la coltre di nuvole e al di là della condensa che opacizza il vetro. Riesco a malapena a distinguere qualche macchia scura formata dai raggruppamenti più fitti di abeti. Se le temperature dovessero scendere a zero gradi, nevicherà. E cosa posso desiderare di meglio di una bufera di neve che mi impedisca di uscire di casa, evitandomi quindi le lezioni e, soprattutto, Eva?
Chissà dove andrebbe a ripararsi una vera aquila selvatica. Prendo il computer per fare una ricerca veloce. Una volta acceso mi ricordo che in casa non abbiamo voluto l'accesso ad internet. Niente Wi-Fi, niente contatti col mondo. Decisione presa da mio padre, approvata energicamente da mia madre; credono che in questo modo, lontana dai contatti col mio passato, sia più facile dimenticare.
Se bastasse staccare la spina, ora non starei guardando la vetrata con interesse viscerale, come se fosse la mia unica via di fuga. Un salto di cinquecento metri e fine della storia. Un tuffo nel vuoto, le gelide carezze dell'aria che si allarga per lasciami passare, il vento congelante nei polmoni, la pioggia che mi ferisce come proiettili e tutto il tempo per pensare ai miei, a Mr Dunky che mi guarda dal cornicione, a quel giorno.
Forse dovrei buttarla nel cesso la chiave di questa finestra. Forse dovrei riporla nel nascondiglio del quali i miei non sospettano che io conosca l'esistenza. O forse dovrei farne una copia, prima.
Sento in bocca il sapore del sangue, come quando sta per arrivare un attacco epilettico. O così dicono. Ma non è quello, mi sono morsa la guancia. Sfilo via dalle coperte e in un attimo sono in piedi davanti alla finestra. Faccio scivolare un dito sul vetro lasciando una traccia sulla condensa. Una linea retta, verticale; come la traiettoria di quando si precipita. Afferro la maniglia e la spalanco facendola scorrere da un lato. La pioggia sferza nella camera, inumidisce in fretta la moquette, fa scappare Mr Dunky sotto il letto, mi colpisce il viso. Mi picchia.
Guardo giù: un tappeto di nuvole blocca la gola del precipizio; temo che bloccherebbe anche la mia caduta. Mi viene da pensare a quei tappeti elastici che usano i circensi nelle loro acrobazie. Mi trattengo sul bordo ancora qualche istante, concedendomi il tempo per far penetrare sotto pelle tutto il freddo rigenerante, e di assaporare con ingordigia quell'odore di pioggia che sa di fine del mondo. Ci sono solo io.
Poi richiudo la vetrata con uno scatto, lasciando fuori tutti i pensieri e le tentazioni. Attraverso la linea tracciata sul vetro, riesco ad individuare tra la pioggia che ancora cade con rabbia, un paio di occhi gialli che ondeggiano a pochi metri di distanza.
La tempesta lì fuori continua ad infuriare. Quella nel mio petto, si placa.
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TOTEM
FantasyPROTETTA DA COPYRIGHT PERCHÉ DEPOSITATA REGOLARMENTE! [COMPLETA, IN REVISIONE] Dahlia si trasferisce in un paesino di montagna dopo un evento traumatico. La speranza dei suoi genitori è quella di riuscire a farle dimenticare l'accaduto, ma il desti...