«Tesoro, ti prego di rifletterci!» la voce di mia madre, al piano di sotto, mi arriva soffocata dalle pareti.
«Non ne posso più di questa storia! È ora di levare le tende e di cercare un posto più... più sicuro!» ribatte mio padre, dando adito a tutta la frustrazione che gli romba nella voce.
Mr Dunky, acciambellato sulle mie ginocchia, fa le fusa con insistenza: sempre più forti, sempre più tremanti; quasi a voler coprire la lite che tuona al piano di sotto.
Fuori dalla vetrata, il cielo plumbeo scatena la sua ira contro il manto di candida neve che nasconde il suolo. In aria c'è odore di tempesta, un miscuglio agrodolce di erba, foglie marce e vento salino, probabilmente proveniente dalla costa. Gocce di pioggia grandi quanto biglie bucano la compattezza della neve, andando a scoprire la terra che, tra le fessure, fa capolino con una certa timidezza.
Il corvo gracchia il suo sirenico invito, la gola nera urla il mio nome, dice "è colpa tua", dice "vieni, tuffati nella mia culla".
Faccio per alzarmi, ma Mr Dunky pianta gli artigli nella mia carne, deciso a non lasciarmi andare. Ricado sulla trapunta grigia.
Un lampo spacca il cielo a metà; la sua luce viola che si dirama in decine di centinaia di affluenti che ripercorrono l'intera atmosfera come un esercito di ragni elettrostatici. Qualche secondo più tardi, il tuono: la vetrata trema tanto forte da farmi credere che possa frantumarsi da un momento all'altro. Poi arriva il buio pesto, la corrente salta e non mi rimane che la flebile torcia del cellulare. Illumino la stanza e gli occhi catarifrangenti di Mr Dunky brillano cupamente.
«Dahlia, stai bene?» mi chiama mi madre.
Non sopporto questo suo continuo chiamarmi in modi diversi: Melanie quando è arrabbiata o delusa, Dahlia quando vuole farmi credere che vada tutto bene.
«Bene!» affermo seccamente.
Spengo la torcia del telefono e mi lascio invadere dalle tenebre, addolcite unicamente dallo spiraglio di luce proveniente dalla sottile luna sorridente che compare tra due nubi che si rincorrono.
Mi avvicino alla vetrata con passo felpato, ignorando i miagolii di Mr Dunky; lui non può capirlo, ma io non voglio lanciarmi: voglio solo respirare.
Afferro la maniglia e spalanco la finestra. Il corvo gracchia divertito. Il vento gelido si insinua nella camicia da notte, i capelli volano in aria e i polmoni mi si riempiono. Finalmente. Una sera come tante, un vento come tanti, un gelo come altri. Le punte ondeggianti degli abeti oscillano in lontananza, sembra un saluto, sembra vogliano dirmi "arrivederci".
Non me ne vado.
«Io non me ne vado.» ripeto a voce alta.
Allargo le braccia, come a voler abbracciare quell'aria fredda che nel suo lungo tragitto ha accarezzato gli aghi dei pini, il pelo dei lupi, le piume degli uccelli, la corteccia degli alberi.
Il corvo urla incoraggiante.
Stringo la cornice della vetrata e mi sporgo verso il dirupo, con l'unica sicurezza delle mie dita ben salde sullo scheletro di legno della finestra. Guardo la profonda gola nera, ne cerco la fine, ma vedo solo lo sciame di grigie gocce di pioggia che litigano per chi per prima raggiungerà il fondo di acuminato da lingue di roccia. La gola nera le assaporerà e le inghiottirà fingendo che siano gocce di sangue. Il mio sangue.
Sento il corvo sghignazzare compiaciuto, sempre che si possa realmente sentire un corvo sghignazzare.
La luce di un nuovo lampo violaceo proietta la mia ombra in pendenza sulle pareti della stanza. Apro la bocca per riuscire a ingurgitare più aria possibile, fino a soffocare d'ossigeno. Ma, senza rendermene conto, sto urlando. Voglio far sentire alla profonda gola nera che la mia voce è più forte, più forte della sua. Ancora più forte. Sento le corde vocali tremare nello sforzo. Il dirupo risponde rimbalzandomi contro la mia stessa voce.
Percepisco le sue sporche mani scivolarmi sulle cosce; sento le calze strapparsi, il top sollevarsi. Sento le risa, sento il "bip" che mi avverte dell'inizio delle riprese". La profonda gola nera mi sputa addosso la sua derisione.
Il corvo nero ammutolisce speranzoso. Ma io non mollo la presa.
Torna la corrente e la luce della mia stanza proietta nuove ombre, questa volta sulle pareti rocciose delle montagne, e questa volta sembro in piedi, non più in pendenza. Mi tiro dritta e finalmente riesco nuovamente a percepire il sangue pulsare nelle vene, la ferita bruciare e sanguinare per la tensione del corpo. L'adrenalina cala ed io cado all'indietro: chiudo gli occhi e immagino l'apertura alare dell'aquila.
Quando li riapro, scopro la stessa aquila dei miei pensieri in stallo proprio sopra di me: le ali larghe e folte, il becco rivolto verso il basso e gli occhi color ambra in un caleidoscopio di sfumature.
Il mio cuore saltella con impazienza, speranzoso di riuscire a schizzare via dal petto per congiungersi con quello di Akil.
Rotolo da un lato e lascio che l'aquila plani con eleganza sulla moquette. Sempre sulla stessa moquette ancora macchiata del nostro sangue.
Intanto che muta dolorosamente nella sua forma umana, corro alla porta della mia stanza e giro due volte la chiave. Afferro poi la trapunta di Mr Dunky e copro la pelle nuda del ragazzo tremante.
Un paio di colpi di tosse e il rantolo del respiro, doloroso come se fosse il primo soffio d'aria che gli accarezza i polmoni, e si tira a sedere poggiando la schiena contro la libreria a parete.
«Ciao.» dico sorridendo.
«Ciao.» risponde lui, allungando una mano affinché io l'afferri.
Mi siedo accanto a lui e approfitto di un lembo della coperta per coprirmi le gambe gelate e ancora bagnate di pioggia.
«Ti ho sentita.» dice, sfiorandomi la ferita sulla spalla con il polpastrello dell'indice.
«Oh, sì...» dico con imbarazzo, «avevo bisogno di sfogarmi.»
«Non parlavo dell'urlo.» risponde accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.
Gli lancio un'occhiata interrogativa, sperando di riuscire a distrarlo dalla schiera di brividi provocati dal suo tocco.
Akil fa scivolare il dito sul collo, sul petto fino a fermarsi all'altezza dello sterno. La mia cassa toracica si alza e di abbassa alla ricerca disperata d'aria, provocandomi un'affanno inspiegabile. E diciamocela tutta: non è come nei film... queste sono situazioni imbarazzanti! Non brutte o spiacevoli, quello no; ma imbarazzanti.
«Ti ho sentita.» ripete, «Avevi bisogno d'aiuto.»
«Non mi sarei lanciata.»
«Questo non significa che non avessi bisogno di me.» ribatte scoprendo un sorriso d'orgoglio, come se la consapevolezza di essere importante, necessario, per qualcuno lo faccia sentire vivo.
«Io ho sempre bisogno di te.» mi sento rispondere.
«Lo so, lo sento.» risponde.
Le ciglia chiare si uniscono nell'atto di socchiudere gli occhi, qualche ciocca ribelle gli scivola sulla fronte. Sento il suo respiro sempre più vicino, mi solletica il collo, la mandibola, la guancia, l'angolo della bocca.
«E adesso? Adesso cosa senti?» sussurro in un improvviso moto di coraggio.
Akil allunga una mano per afferrare la mia: fuoco e ghiaccio. Mi sfiora il viso con la bocca, porta l'altra mano alla mia nuca e, con una leggera pressione, mi convince a voltarmi. Dischiudo le labbra e accolgo le sue, incapace di aspettare un secondo di più. Preme con dolcezza, i nostri respiri si uniscono, la nostra carne brucia. Sa di foresta, sa di foglie, sa di buono; sa di salvezza. Le nostre lingue si accarezzano, danzano, si cercano, si vogliono. Vivono.
Il video su internet sparisce, così come i miei al piano inferiore, come Eva, come Leonida. Come la profonda gola nera. Siamo lontani, più su delle nuvole, più su dell'atmosfera, più su dei pianteti. Volteggiamo tra le stelle: la mia pelle coperta da piume, coperta da folto pelo grigio e accarezzata dal morbido manto chiaro. Sono un lupo, un cervo, un'aquila.
Sento il petto bruciare, vorrei poter urlare ma non basterebbe a sfogare quel calore che cresce fino ad invadermi ogni centimetro del corpo: mi bastano le sue labbra sulle mie, le sue mani tra i capelli, il suo corpo caldo e nudo, puro, contro il mio.
È più di quanto mi aspettassi, è più di quanto mai avrei voluto.
È magico.
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TOTEM
FantasyPROTETTA DA COPYRIGHT PERCHÉ DEPOSITATA REGOLARMENTE! [COMPLETA, IN REVISIONE] Dahlia si trasferisce in un paesino di montagna dopo un evento traumatico. La speranza dei suoi genitori è quella di riuscire a farle dimenticare l'accaduto, ma il desti...