Sessantacinque

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Akil...

Stringo la gola di Eva affondando gli artigli nella sua meschina carne. La serpe si dibatte con forza, senza comunque riuscire a ribellarsi. Stride tentando di tirar fuori il suo umano grido di dolore, ma l'anatomia di rettile non le consente altro che un atroce e innaturale suono gutturale.

Gli occhi le si gonfiano, i denti sprizzano veleno per la pressione, la lingua vibra diventando sempre più chiara per mancanza del proprio gelido afflusso sanguigno.

Leonida si alza in volo e si interpone, beccando e graffiando alla cieca; l'atroce lotta di un corvo contro due colossi.

Sento la pancia gonfiarsi d'odio, un odio tanto profondo da essere impuro. Guardo il mio compagno lupo morto: il suo branco che guaisce per lui, il suo branco che tenta di rianimarlo con delle inutili spinte del muso, il suo branco che gli si stringe intorno per ripararlo dal gelo e dalla pioggia. Guardo Dahlia sdraiata a terra, zuppa di fango, sangue e acqua. La bocca contratta in una smorfia sofferente; gli occhi chiusi, i capelli a coprirle parte del viso, le spalle tumefatte, il sottile torace che fatica a trarre nuovi respiri.

Poi guardo gli occhi folli di Eva, e non sento altro che l'avversione, che il disprezzo. Rifiuto per la sua pazzia, rifiuto per la sua violenza. Rifiuto per la sua esistenza.

Stringo la presa ignorando i colpi di frusta della sua coda, ignorando le beccate taglienti di Leonida, ignorando la legge.

Nessun Totem può ucciderne un altro.

Io posso. Posso distruggerla, posso cancellare la sua miserabilità, la sua atrocità. Posso ucciderla. E sono disposto a morirne.

Ogni gemito di dolore di Dahlia è una nuova scarica di adrenalina che mi vibra nelle vene della zampa con la quale stringo senza pietà.

Colpisco Leonida che va a sbattere contro la roccia d'una grotta, scivolando proprio sotto lo guardo dei lupi che lo ignorano. Poi, torna caparbiamente all'attacco e per la prima volta, nonostante non condivida le sue motivazioni, provo rispetto per lui.

Un lampo viola squarcia il cielo, illumina la lotta ostinata che si riflette in scure ombre sulla roccia: sembrano antichi dipinti parietali, di quelli che tracciavano le antiche tribù della storia.

Le mie labbra scure tremolano scoprendo sempre più i denti; l'innaturale istinto omicida oscura la lucidità della mia mente.

Colpisco ancora Leonida con il dorso della zampa e lui ruzzola nella pozzanghera alzando schizzi di densa melma scura.

Spingo a terra la serpe, bramisco quasi ringhiando, tenendo fede alla mia natura di lupo. Eva si dibatte con sempre meno forza, le energie le scivolano via dal quel corpo immondo, ingrato, ignobile. Spalanco la mascella e sono pronto ad azzannarla, a cibarmi della sua carne.

Un ruggito: ecco cosa mi distrae.

Un enorme leone nero scuote la sua scura criniera, gli occhi blu come il fondo del mare, la voce profonda e minacciosa. Porta avanti la zampa artigliata e ferisce il terreno. Ruggisce ancora, e poi ancora, ancora e ancora, finalmente lieto di poter tornare alla sua caratteristica autorevolezza. La forza del leone.

Leonida si piega sulle zampe posteriori e balza in avanti, gli artigli esposti e le fauci spalancate. Mi si avventa addosso spingendomi lontano dalla serpe, ruzzoliamo avvinghiati l'uno all'altro. Le nostre mascelle che scattano in avanti, pronte ad azzannare senza remore, pronte a proteggere gli affetti: io Dahlia, lui Eva.

Con la coda dell'occhio intravedo il serpente strisciare lentamente verso il corpo esanime della mia Protetta. Assesto una zampata sul muso scuro del leone e mi avvento sulla bestia: la blocco artigliandole la coda. Lei scatta verso di me, pronta ad attaccare, ma cede all'istante.
Alzo in aria l'altra zampa e la colpisco perforandole la carne.

Leonida mi si avventa addosso, mi spinge su un fianco e mi azzanna il ventre. Mi sembra di non sentire nulla quando le viscere mi si riversano sul terreno, quando la mia forma regredisce a quella del lupo, a quella del cervo, a quella dell'aquila e, in fine, a quella dell'uomo.

Sento solo il sangue salirmi dalla gola, solleticarmi il palato e colare sulle guance. Sento solo l'aria abbandonarmi i polmoni. Sento solo i lupi ululare.
Sento solo il mio legame con Dahlia recidersi, come il taglio del cordone ombelicale.

Allungo una mano e sfioro la sua, ancora calda. Vedo i suoi capelli dibattersi in aria e il sorriso guardare verso i miei artigli d'aquila che stringono il bracciolo di cuoio; vedo la sua bocca dischiudersi nel buio, pronta ad accogliere le mie labbra; vedo le sue lacrime cadere giù nella profonda gola nera.

Sento le sue dita stringermi un'ultima volta.

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