DODICI

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La pelle indolenzita e ancora sanguinante.
Ma questo dolore è la prova che sono riuscita a volare.

Cammino per i corridoi affollati della scuola, ignorando le occhiate furtive e i bisbigli maliziosi.
Stringo il libro contro il petto, le guance rosse, la testa altrove e il cuore ancora gonfio e ingombrante.

«Dicono che Leonida sia furioso.» sussurra Adham, a disagio per gli sguardi incuriositi degli studenti «Credo che sia incazzato per Eva. Sai, ora che è ai domiciliari non riuscirà più a vederla. A meno che non si intrufoli dalla sua finestra come faceva quando... Dahlia, mi stai a sentire o no?»

«Eh?»

«Ti stavo dicendo che... oh, guarda. Eccolo che arriva.»

Leonida compare in fondo al corridoio sfoggiando il suo sorriso strafottente, incrinato dal labbro spaccato e lo zigomo violaceo. Si muove con arroganza nella sua giaccia contornata da pelliccia di volpe, battendo la suola di cuoio degli stivaletti in pelle nera, e scuotendo la criniera di capelli scuri e arruffati.

Mi fissa; gli occhi metallici si illuminano sotto le luci al neon della scuola, assumendo una tonalità violacea.

La schiena mi si ricopre di brividi di disgusto.
Sostengo il suo sguardo colta dall'improvviso rifiuto di chinare la testa. La cosa sembra stupirlo, tanto che alza il sopracciglio con divertimento.

«Melanie!» mi saluta a voce alta, alzando un braccio per richiamare l'attenzione.

«Pezzo di merda.» commenta Adham, silenziosamente.

«Allora? Come sono stati questi due giorni di riposo?» mi circonda le spalle con il suo braccio sottile.

«Bene, direi. Felice del fatto che non hai più nulla con il quale ricattarmi. Comunque, non sono certa che tu possa dire lo stesso.» indico la contusione che si allarga a ragnatela sulla sua guancia.

«Sai, carissima Melanie,» dice avvicinando il suo viso al mio «non ho bisogno dei ricatti per ottenere quello che voglio.» bisbiglia, l'alito che odora di sangue.

«E cos'è che vorresti? Si può sapere?»

Lo sguardo di Leonida s'indurisce, ma il ghigno crudele e divertito non si smuove di una virgola. Mi analizza dall'alto al basso con sufficienza, poi allontana lentamente il viso dal mio: «Forse a tempo debito lo saprai.»

Se ne va. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non scompare tra i gruppi di studenti che ridono tra loro.

«Dovresti andare dal preside, non dovrebbero comportarsi così. Era stato chiaro.» mi incoraggia Adham, riferendosi ai bisbigli importuni degli studenti.

«No.» mi affretto a dire, «Devo solo aspettare che se ne dimentichino.»

La verità è che non voglio che i miei pensino che questa situazione possa danneggiarmi più di quanto già non abbia fatto. Mi allontanerebbero da qui e ora non posso; non voglio andarmene. Forse è vero che prima o poi tutto tornerà al suo naturale equilibrio e, fino a quando non sarà così, mi basterà sapere che lì fuori c'è un'aquila pronta a sorreggermi con i suoi artigli affilati.

«Beh, dovresti almeno parlargli di Leonida.» insiste.

«Credo che ci sia già qualcuno che se ne occupa. Hai visto com'era ridotto?»

«Oh, l'ho visto e come!» risponde con malizia.

«Ma non mi dire.» rispondo alzando un sopracciglio «Sul serio? Leonida?»

«Andiamo, non mi starai mica dicendo che non senti anche tu un formicolio al basso ventre quando lo vedi. Certo, non è chissà quale adone ma ha fascino.»

«In effetti quando lo vedo qualcosa la sento: nausea

«Chi disprezza, compra!» risponde con ironia.

Ma Adham si sbaglia: l'unica cosa che sento crescere nello stomaco quando Leonida si trova nelle vicinanze, è una fastidiosa e viscerale sensazione di disgusto. E non lo nego: mi fa anche un po' paura. Quegli occhi metallici che minacciano una crudeltà parzialmente latente, dimostrata dal bagliore felino che gli illumina lo sguardo di una luce maligna.

Suona la campanella e prendo posto in fondo all'aula dove, teoricamente, dovrebbe trovarsi Eva.

Volto lo sguardo e incontro gli occhi di Liz, l'amica di Eva; mi osserva con ansietà.

C'è qualcosa che mi sfugge, un collegamento tra ogni stranezza di questo posto. Forse anche con l'aquila.
E lei sa qualcosa.

Fuori comincia a piovere. Il cielo si scurisce in fretta negando alla terra il lieve bagliore del sole. Gli alberi oscillano pericolosamente, mossi dall'impeto furioso del vento. Poi il lampo, il tuono e il cortocircuito. La scuola sprofonda in un'oscurità sconfitta unicamente dalle bianche luci di emergenza sul soffitto.
Il grido generale soffoca il ronzio dei generatori in sovraccarico.
Poi cala un silenzio inquietante, congelante. Altri lampi si susseguono con insistenza, illuminando il parcheggio della scuola che affoga nella pioggia ormai divenuta un fiume in tempesta.

In quei brevi e concisi attimi di luce, al di là della vetrata opaca rigata da rivoli d'acqua, due perfidi occhi verde bile brillano di furia.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora