Quarantadue

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Notte dopo l'altra, ho preso a frequentare sempre meno la mia camera. Mr Dunky si gode pienamente le coperte sul letto; io mi godo pienamente Akil, la sua casa, il dirupo sul fiume e il panorama mozzafiato che non potrà mai smettere di emozionarmi.

Il bracciolo di cuoio si è rivelato la soluzione più efficace. Pioggia, vento e nebbia non possono annullare nessun volo, roba che le compagnie low-cost se lo sognano.

E la mia pelle ormai è abituata al contatto diretto con quella di Akil: il suo corpo è diventato come un droga per me. Non mi basta mai, ne voglio sempre di più. E lui vuole me. Siamo una cosa sola, siamo aria e fuoco, acqua e terra. Lui mi insegna ad essere un'aquila, io gli insegno ad essere umano. Non un rapporto unidirezionale, ma dalle mille vie che finiscono col rincontrarsi in una sorta di catena a maglia. Tanti piccoli pezzi di noi che si compongono uno incatenato all'altro.

Mi sento bella. E anche forte, irrefrenabile, imbattibile. La mia vita durante il giorno è una totale bugia: io sono una creatura della notte, una lupa che ulula alla luna. E vorrei poterlo essere veramente.

I primi istanti dopo il trasloco, davanti alla mia vetrata, mi immaginavo di saltare a dalla finestra, atterrare sul suolo umido e correre coi lupi. Alla fine chi se lo sarebbe mai aspettato che mi sarei potuta lanciare da quella stessa vetrata e volare con un'aquila?

È questa la vita. Non una classe piena di bulli, non dei video su internet, non dei genitori apprensivi. È l'aria che ti entra prepotentemente nei polmoni quando ti trovi talmente in altro da sentire le vertigini. E non m'importa della scienza che dice che in alto l'aria è più rarefatta: so per certo che si respira da dio, lì su.

Poggio la guancia sul petto di Akil; un velo di sudore copre i nostri corpi nudi nascosti sotto gli spessi strati di coperte. Sento il suono del suo cuore, un ritmo tanto musicale da influenzare il mio.

Tuc, tuc, tuc.

«Vorrei vivere così per sempre.» sussurro, chiudendo gli occhi.

Sento Akil irrigidirsi. Alzo la testa e lo fisso, ma lui tiene strategicamente le palpebre serrate.

«Qualcosa non va?» domando.

Ora l'aria fredda che penetra dalla bocca della grotta si insinua nella carne e mi congela le ossa.
Lui scuote la testa tentando di far finta di nulla.

«Akil.» lo chiamo, «Sputa il rospo.»

Sbuffa e si tira a sedere. La coperta gli scivola sul torace lasciando gli addominali scoperti. Si gratta la nuca e dice: «Non potrà essere così per sempre.»

«Cosa? E perché?»

«Perché finché avrai bisogno di me ci sarò. Poi dovrò occuparmi del prossimo che verrà...»

«Scusa?» scatto, gli occhi gonfi d'ira, «Sono un numero per te?»

«No, non è così.» risponde lui pacato.

«E allora? Com'è che fai? Avanti il prossimo?»

«Dahl.» mi ammonisce dolcemente.

«Cosa devo fare? Devo aver bisogno di te per averti?»

«Dahl.»

«Cos'è questo? Cosa stiamo facendo?» domando, afferrando i miei vestiti e rivestendomi in fretta.

«Dahl.» ripete, una volta completamente vestita, «Vieni qui.» mi porge la mano.

L'afferro e mi lascio tirare di nuovo sulle coperte.

«Non posso farci nulla, è la mia natura, ciò per cui sono nato. Esisto per servire coloro che ne hanno bisogno, ma questo non significa che io debba provare per tutti i miei Protetti quello che provo per te.»

«Però significa che dovremo allontanarci, prima o poi.» dico sommessamente.

«Devi farti la tua vita. Devi andare all'università, devi viaggiare e conoscere il mondo. Io devo restare qui, non posso lasciare la mia terra.»

«Io voglio restare con te, questo non conta?» insisto.

«No, non conta. Cosa posso offrirti, io? Una caverna come casa, qualche volo ogni tanto e poi che altro? Non posso darti figli e non posso invecchiare insieme a te.»

«Che... che vuoi dire?»

«Voglio dire che quel che vedi adesso, è la stessa immagine che vedrai tra cento, mille, un milione di anni. Sempre che io sopravviva.»

Mi sento tremare la terra sotto i piedi, sento gli organi in tempesta, la testa in fiamme, gli occhi appannati.

«Questo significa che io e te...»

«... non potremo mai stare insieme.» conclude, «Non come chiunque altro, almeno.» aggiunge e mi insinua un po' di speranza.

«E tu lo sapevi. Perché hai permesso che andassimo avanti?» lo accuso, le lacrime agli occhi.

Si morde il labbro con colpevolezza. Abbassa lo sguardo e cerca di prender tempo balbettando qualche inutile scusa. Alla fine, quando capisce che non ha via d'uscita, dice: «Perché avevo bisogno di te. E tu di me.»

«Ma sapevi cosa sarebbe successo? Che mi avresti ferita?»

«Si.» ammette debolmente.

«Voglio tornare a casa.» dico freddamente.

«Dahl...» mi supplica.

«Adesso.»

Akil si alza svogliatamente in piedi, corre via dalla grotta e si lancia nel dirupo. Quando riprende quota, io sono già sul bordo col braccio alzato. Il volo di ritorno è una tortura: ogni battito d'ala è scosso dai miei singhiozzi soffocati. Per fortuna non può vedermi piangere, ma di certo può sentire cosa provo.

Solo una volta nel mio letto, Akil lontano e la vetrata chiusa, mi viene in mente qualcosa in grado di farmi sorridere: perderlo mi ucciderebbe e questo potrebbe significare che io avrò ancora bisogno di lui.

E la sua natura lo obbligherà ad esserci.
Spero.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora