Cinquanta

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Leonida...

Siedo annoiato sulla sporgenza di un masso ricurvo. Il freddo della notte accarezza la mia pelle nuda. Qualche penna nera continua a volteggiare in aria, quasi che queste vogliano manifestare la gioia d'essersi liberate di me.

'fanculo.

Alzo lo sguardo e su, in cima al bordo della voragine, la vetrata illuminata; Dahlia, seduta davanti allo specchio, si spazzola i capelli soprappensiero.

Cento colpi di spazzola, cenerentola, penso facendole il verso.

Sarebbe tutto più semplice se decidesse di buttarsi, se decidesse di darsi in pasto alla profonda gola nera che l'osserva famelica. Meglio lei che Eva, meglio nel suo stomaco che in quello di Eva.

Pensavo che avrei potuto approfittare di Adham per architettare un piano, ma alla fine ha prevalso la natura del mio compito. Credevo che avrei potuto raggiarla, questa stronzata della totale protezione dei Protetti. Non che volessi fare del male ad Adham, ovvio che no; ma credevo che avrei potuto approfittare del nostro legame per spezzare Dahlia in qualche modo. E invece mi ritrovo a farle la guardia come un cane del cazzo.

Maledetto bamboccio! Penso di Akil sbuffando, Maledetto me!

Il vento muove debolmente le foglie delle felci e solleva in aria gli aghi di pino in una nuvola verde. Una volpe col cucciolo si arresta non appena si accorge di me; è immobile, una statua dal folto pelo rosso. Il cucciolo si rifugia sotto la pancia della madre e mi tiene fisso sotto il proprio sguardo, pronto a scappare via al mio primo movimento. Inchino leggermente la testa, in segno di rispetto. La volpe fa un passo incerto e, quando si rende conto di non correre alcun rischio, riprende il suo percorso col cuore leggero. Di solito la notte le volpi vanno a caccia, e di solito non si portano dietro i cuccioli, a meno che non sospettino un qualche pericolo.

Non posso fare a meno di pensare ad Eva nella sua poco lusinghiera forma di serpente; attorcigliata su se stessa, la tremante lingua biforcuta sporca di sangue, gli occhi del colore dello smeraldo e un tappeto di cuccioli di lupo tutt'intorno.

Sento lo stomaco contrarsi dal disgusto.

Mi alzo in piedi e mi sporgo in avanti per cercare il fondo della gola nera, voglio vedere il luogo nel quale verrà sparso il sangue di Dahlia, il sangue con il quale verrò ripagato.

Ogni qualvolta mi faccio trascinare da questi pensieri violenti sento la mia stessa coscienza stritolarmi le viscere, ma chi se ne fotte della coscienza, chi se ne fotte dei doveri di un Totem e chi se ne fotte della purezza dell'anima. Solo di una cosa m'importa, e non vi rinuncerò per salvare la vita di una ragazzina depressa con istinti suicidi: non se la merita, la vita.

Ecco cosa mi ripeto quando sento il petto pizzicare di rimorsi: Lei, pronta a lanciarsi in un burrone, non se la merita la vita.

E funziona, l'anima si placa e lascia che mi concentri sull'odio e la rabbia che mi infuocano gli organi.

Mi siedo al suolo a stretto contatto con la terra e infilo le dita tra i fili d'erba umida di rugiada. Un verme striscia noncurante del suo naturale predatore, si contorce senza dignità e fa per nascondersi sotto la fanghiglia formatasi con le irruenti piogge. Lo afferro per la coda e lo sollevo portandomelo davanti agli occhi: lo stomaco si contrae per la fame, ma decido di lasciar vivere il vile esserino. Non riuscirebbe comunque a placare il languore del mio palato.

Il silenzio, orchestrato dalle centinaia di zampette dei grilli, viene rotto dall'ululato beffardo del lupo.

«Bastardo d'un ingordo» ringhio immaginandomi il muso di Akil sporco del sangue della sua preda.

Quando mi è costata, la sua esistenza. Voglio esserci quando Dahlia si lancerà nel precipizio, voglio esserci quando la luce della vita lascerà gli occhi della fiera aquila. Voglio esserci quando Eva piangerà la morte di quella testa di cazzo. Voglio esserci quando tornerà ad essere mia.

Che stronzata, penso fissando la vetrata ancora illuminata, a che serve tenerla sotto controllo? Forse potrei provare a convincerla a lanciarsi e la faremmo finita una volta per tutte, continuo malignamente.

Prendo la ricorsa e mi lancio nel burrone. Urlo come farebbe un ragazzo nel lanciarsi da una scogliera. Mi godo l'aria che entra prepotentemente in gola, mi godo le mani della voragine chiamarmi sirenicamente. Rido e lacrimo, certo che in fondo la vita sia proprio questa: sentire qualcosa nello stomaco, il doloroso vuoto pneumatico che ti dimostra che esisti.

Mancano pochi metri al suolo, chiudo gli occhi e conto, scommetto di riuscire a mutare in tempo.

Dieci metri, nove metri, otto metri...

«Woooah!» urlo, le gambe chiuse, le braccia larghe, il mento in alto e il petto gonfio.

Cinque metri, quattro, tre, due...

Sento le ossa bucarmi le spalle, le costole frantumarsi, il becco spuntare spaccandomi i denti. Apro gli occhi e il suolo dalle milioni di lingue taglienti mi sfiora le piume sprimacce.

Batto le ali con forza, ignorando il dolore sordo che rimbomba in tutto il corpo. Salgo sempre più in alto, fino a trovarmi faccia a faccia con i pini che stridono d'odio.

Sto per lanciarmi disastrosamente contro la bella vetrata di Dahlia, quando sento una tristezza sconfortante prendere il sopravvento su ogni mio pensiero crudele. Sento le lacrime innondarmi il viso, il fiato diventare sempre più corto e il gelo nelle ossa. E allora capisco che Adham ha bisogno di me.

Guardo la vetrata, incerto se lasciare o meno il mio posto di guardia, incerto se dar atto o meno al mio piano di assistenza al suicidio.

Chi se ne fotte. Che se la mangi pure, Eva.

Inverto la rotta sbattendo le ali energicamente verso il luogo dal quale proviene il richiamo disperato: il cinema abbandonato.

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