Cinquantasette

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Akil...

Fango.
Questo è quello che sento: fango nella bocca, fango nelle viscere, fango nello stomaco. Un mondo che crolla, un mondo che prende atto della sua inutilità. Graffi sulla pelle, strappi di intere ciocche di pelo, stretti rovi alla ricerca di un prigioniero. Alberi che nella loro autorevolezza m'impongono forza, freddezza, dovere. Pini ritti come soldati, abeti immobili come giudici. Felci che tentano di trattenermi avvinghiandosi intorno alle zampe. Il cielo che volta il suo sguardo in un'altra direzione, il cielo come Giuda.

Fango come sangue.

Rami che si contorcono sullo sfondo del firmamento, rami che si afflosciano verso terra, come centinaia di braccia stanche.

L'aria mi si nega, i polmoni si contraggono, si assottigliano sotto vuoto. Il vento mi sferza tutt'intorno, mi sferza contro tentando di trattenere la mia corsa.

Nei miei occhi solo Dahlia; la sua pelle nuda, il suo sorriso fresco, le sue emozioni pure. Il calore del suo corpo, il sapore delle sue labbra, il profumo dei suoi capelli. L'intelligenza ammaliante, seducente. Il battito del suo cuore, come un assolo acustico di batteria.

Il nero intorno a me, il mio mondo che crolla. Nella bocca il gusto del fango, nelle narici l'odore del fango, nello stomaco la pesantezza del fango.
Sono fatto di fango, tremolo come il fango. La mia inutilità di fango.

Nelle orecchie il caos, nelle orecchie la calma. Nelle orecchie il suono melodioso della sua voce.
Nel cuore il filo spinato che graffia, che punge. Il sangue caldo che diventa freddo.

Questo intorno a me: solo confusione.

Corro senza meta, corro per sentirmi parte di qualcosa. La natura mi trattiene, non vuole che mi muova, vuole farmi affondare nel terreno. Affogare nel fango; fango come sabbie mobili.
Spingo tenacemente, facendo forza sui muscoli delle gambe. Corro sentendo l'acido lattico bruciare. Corro sentendo l'aria nei polmoni bruciare. Corro sentendo gli occhi bruciare.

Una strada che taglia questa natura selvaggia, indisciplinata, incasinata. Una strada nera, scura di pioggia, umida.
Gli artigli che stridono su quel materiale innaturale.

Una strada percorsa da un motorino azzurro.
Troppo tardi, non faccio in tempo.

Il ragazzo mi viene addosso, sento la ferraglia colpirmi alle costole. Ruzzolo sul suolo rigido, ruvido. Guaisco.
Mi frantumo, ossa come polvere, organi come fango.

Il ragazzo, il caso ancora sulla testa, giace a pochi metri da me. Le gambe piegate in una posizione innaturale, gli occhi chiusi, gli spasmi dei muscoli, la bocca aperta grondante sangue e saliva.

La natura mi tratteneva, tentava di fermare la mia corsa.

Il silenzio ci circonda, due corpi spezzati sdraiati a terra, le piante che sussurrano, il vento che conforta. Però, solo l'inutile silenzio. Nessuna speranza di soccorso, nessun aiuto, solo il vento rotto dal ronzio degli insetti. Solo il silenzio rotto dallo scavare delle volpi.

Un mondo che continua la sua esistenza nella sua totale normalità, indifferenti a due corpi straziati che gustano il sapore amaro del dolore.

Il cuore calmo pulsa sangue alle articolazioni disgiunte. La pelle graffiata, le ossa che bucano la carne e il tranquillo frinire dei grilli.

Poi il nero, solo il vellutato, confrontante nero. Niente più vista, niente più tatto, gusto, olfatto, udito.

Fango.

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