XXXII

1.4K 116 15
                                    

Seduta con le gambe incrociate davanti alla vetrata macchiata da qualche gocciolina di calcare, probabilmente dovuta ai fiocchi sciolti a contatto col vetro, scruto la boscaglia alla ricerca di Akil.

Nel buio della notte, i pini dalle punte accumunate minacciano il cielo come decine di migliaia di coltelli affilati. Un'immagine grottesca, inquietante, che stona totalmente con la tonalità azzurrina che prende la neve nel riflettere il cielo blu intenso sporco di lucide stelle.

E se la vista mi avesse giocato un brutto scherzo? Se il foro nella sua carne non stava davvero restringendosi?

In quel caso, lasciandolo ad inzupparsi nel sangue e nella neve, l'ho condannato a morte.

Sento il cuore premere con insistenza nella gola; picchietta, picchietta, picchietta. Poi bussa forte, protestando contro le pareti del mio corpo: vuole uscire da me, vuole che lo sputi fuori. Mi promette sofferenza.

Mr Dunky mi si struscia sulla schiena, come a voler placare la mia ansia. E in effetti funziona, riesco a sentire il cuore scivolare nella gola e tornare al suo posto. I poteri curativi di un animale.

I poteri curativi di un Totem.

Il pesante macigno all'altezza dello stomaco, però, è ancora lì intenzionato a non spostarsi di un millimetro.

Scandaglio minuziosamente ogni centimetro di cielo e ogni centimetro di terra, ma nulla. Di lui neanche una traccia. Penso istintivamente alle orme insanguinate del lupo ed ecco che, di nuovo, il cuore schizza atrocemente in gola graffiando le pareti ormai indolenzite a causa del pianto che continuo dolorosamente ad ingoiare.

Basta così, vado a cercarlo.

Mi alzo da terra e mi infilo le Vans ai piedi. Afferro la maniglia della mia stanza e mi fiondo quattamente nel corridoio buio e silenzioso. Accompagno la porta nella chiusura, continuando a tenere lo sguardo puntato alla finestra intanto che lo spiraglio sulla mia stanza diventa sempre più stretto. E proprio quando quello spiraglio assume la sottigliezza d'uno spillo, intravedo due luminosi fanali ambrati fendere l'aria.

Ritorno in fretta nella mia camera e mi chiudo la porta alle spalle. Due giri di chiave e sono sicura che nessuno verrà a disturbarci. Corro verso la vetrata, grata alla moquette beige di attutire fedelmente ogni mio passo. La spalanco lasciando che l'aria gelida si riversi come acqua nell'ambiente. Mr Dunky si sbriga a rifugiarsi nella coperta calda ai piedi del letto.

Il cuore riprende a martellare energicamente, ma questa volta resta al suo posto; batte con gioia ritmando un sordo saluto.

L'aquila plana con eleganza sfiorando le punte affilate dei pini; il folto piumaggio bruno vibra mosso dal vento che lo accarezza. Solo quando torna a sbattere le ali perdo parte del mio entusiasmo.

La sua chiara difficoltà, come se stesse incespicando goffamente in aria, distrugge la poesia del momento. L'ala destra, proprio dove era andato il proiettile a conficcarsi, trema ad ogni sforzo non riuscendo a mantenere il ritmo dell'altra.

Mi scosto consentendogli di planare, e poi ruzzolare sulla moquette, evitando di essergli d'intralcio.

Akil trema a terra, nudo nella sua forma umana, coperto da qualche piuma opaca separatasi dal resto del regale piumaggio.

«Akil.» lo chiamo, ancora in piedi accanto alla vetrata spalancata.

La mia voce è ferma, rigida. Pietrificata. I suoi capelli del colore dell'oro sono spenti, più chiari, quasi bianchi; la pelle color pesca ha assunto una tonalità grigiastra, è spaccata in diversi punti e gli scivola via in scaglie verdastre.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora