XXVII

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Leonida...

Come si pavoneggia, quell'idiota.

Akil, come sempre appollaiato davanti a casa della sua Protetta, sbatte le ali con insistenza sperando di riuscire a cacciarmi. Ma io non mi muovo di qui, perlomeno fino a quando non si allontanerà anche il mio Protetto.

Proprio così, sono riuscito a collegare le nostre anime senza il bisogno di mostrargli nulla del mio mondo! Sembra che inizi a capire qualcosa, però. In fondo si ritrova sempre questo corvo del cazzo alle spalle: qualcosa vorrà pur dire!

Gracchio in gesto di sfida, allargando la mia miserabile apertura alare finendo col fare la figura del coglione. Ma non importa, quando quell'idiota vedrà chi è il mio Protetto, inizierà a portarmi rispetto. Inizierà a temermi veramente. Non che io intenda davvero far del male ad Adham, ma Akil sarà certo che ne approfitterò per colpire Dahlia.

Eccolo, eccolo che arriva! Penso con soddisfazione.

Adham si sbatte la porta d'ingresso alle spalle e monta sul suo motorino. Gracchio con soddisfazione, sempre più forte.

Akil osserva la scena: è confuso, l'idiota.

Adham, attratto dal frastuono tra gli alberi, alza lo sguardo e trova i miei occhi color vita, morte, anima, gelo, ghiaccio e stronzate varie. Mi riconosce, ne sono certo. Trova poi con lo sguardo il folto piumaggio imperiale dell'aquila. Ne rimane sorpreso, ammaliato, meravigliato. Ed io ne sono geloso.

Sbatto le ali con rabbia e il ragazzo torna a fissarmi. Scuote la testa, come a voler cacciare un'immagine nella quale non è certo di credere, e apre il gas. Uno scoppio del motore ed è già a metà della prima curva.

Mi fiondo sull'aquila nell'ultimo gesto di sfida e mi alzo in volo, pronto a raggiungere il mio Protetto.

Sono una ridicola macchia nera in contrasto con il bianco perlaceo del cielo. Le gravide nuvole minacciano l'arrivo dell'inverno, ancora incerte se partorire o meno i nuovi fiocchi di neve. Duecento anni fa questo posto, a quest'altezza, non conosceva mese senza che tutto fosse coperto di bianco. Com'è cambiata la Terra; come l'hanno cambiata.

Raggiungo la macchiolina azzurra che si muove come una formica sulle lunghe strade tondeggianti. Le montagne salutano il giorno lasciando che le loro cime si cibino di sole ancora per qualche minuto. Una lunga striscia viola tinge le nubi all'orizzonte. Tutto sembra calmo, immobile: il fiume scorre placido nel suo letto, gli scoiattoli rosicchiano lentamente le loro ghiande e le volpi attendono nelle loro tane l'arrivo della notte. La calma prima della tempesta.

C'è solo l'innaturale scoppiettio della marmitta del motorino a spezzare la pace delle montagne.

La strada si stringe pian piano che tante piccole casette colorate iniziano a costeggiarla. Il paese saluta l'ingresso del mio Protetto in un silenzio tombale. Tutte le persiane sono accostate con l'intento di respingere il freddo, dai comignoli si alzano scuri sbuffi di fumo, e gli alti lampioni argentei illuminano le vie fredde e desolate.

Adham s'inoltra in un vicolo buio e parcheggia il suo Areox ai piedi di un marciapiede lercio d'immondizia. Come trattano questa nostra casa, gli esseri umani! Sento fremere l'ugola nella voglia di rimproverare quell'oscenità, ma sarebbe del tutto inutile e assolutamente ridicolo.

Insomma, chi se ne frega, mento alla mia natura.

«Ti sembra forse l'ora di tornare?» una profonda voce maschile si accanisce su Adham non appena varca la soglia di casa, «Che figura mi fai fare col paese? Non ti basta che già ci chiamino negri di merda

«Scusa papà, era importante.» si difende, abbassando tanto la voce da rendermi quasi impossibile riuscire a sentirlo.

Percepisco qualcosa crescermi nello stomaco: rabbia, forse paura... anche tristezza. Tutto ciò che prova Adham; tutto ciò che mi rende umano. Fino a quando saremo collegati, io riuscirò a provare tutto ciò che prova lui. Non è una cosa che faccio spesso, non amo mettermi nella pelle delle persone e dimenticare, anche solo per un istante, chi io sia. Ma quando un Totem ha un Protetto non può farne a meno, è tutto ciò che abbiamo per riuscire a sorvegliarli anche quando siamo lontani. È come un allarme.

«Importante? Quella tua amica bianca è importante?» ribatte, schernendolo.

«Sì.» afferma con rabbia, nonostante abbia una paura fottuta di quell'omaccione nero con gli occhi iniettati di sangue.

«È già tanto che abbiamo fatto entrare in casa quel ragazzo pallido che puzza di terra. Non ne voglio di quella gente in casa mia!» urla la madre, aggiungendo brace sul fuoco.

Stupida puttana, penso storcendo il... becco.

«Posso... posso dire una cosa?» chiede il ragazzo timidamente.

«Sentiamo questa perla di saggezza, figliolo.» lo beffeggia il padre.

«Giudicare un nero in base al colore della sua pelle, è...» si interrompe per timore, «è come giudicare un bianco per il colore della pelle!» aggiunge tutto d'un fiato, non concedendosi ripensamenti.

«Stai dando del razzista a me?» chiede l'enorme uomo nero con una calma glaciale, «Come ti ha cresciuto tua madre?»

«Io l'ho cresciuto benissimo! L'ho tirato su a suon di schiaffi e con i sani principi della famiglia! È lui che è un totale fallimento.» risponde lei, con quel tono di chi vorrebbe dire "ah, non guardare me".

Il primo piatto rotto a terra e il primo calcio nelle costole di Adham.

Basta.

Mi fiondo contro il vetro della finestra, frantumandolo. Rotolo a terra proprio accanto al ragazzo contratto in una smorfia di dolore, dolore che si irradia anche in tutto il mio fianco destro.

Mi alzo in aria, forzandomi ad ignorare le fitte e punto proprio al centro del petto del padre. Interviene svelta la madre, pronta a colpirmi con le setole della sua scopa di legno: «Sciò, sciò! Uccellaccio del malaugurio!»

Ma non mi do per vinto. Come minimo, quel verme deve finire in ospedale. Riparto in picchiata e mi aggancio al suo testone con gli artigli. Becco la pelle che sa di matita e punto agli occhi grandi e scuri. L'uomo cerca di ribellarsi menando schiaffi che si scontrano direttamente con la sua testa. Si muove da un piede all'altro, finendo col farmi morire dal ridere. I primi rivoli di sangue macchiano quel suo faccione severo.

«Donna! Donna, caccia questa bestiaccia!» urla lui, tra un colpo di tosse e l'altro.

Soffoca, pezzo di merda.

«Sì, subito!» la donna alza la sua benedetta scopa e colpisce il marito proprio alla nuca.

Questo cade a terra, svenuto. Prima che la sua fronte tocchi il pavimento in legno, mi sgancio dalla carne e volo via dalla finestra.E così Adham ha un giorno di pace.

«Dio Santo, che ho fatto? Perdonami!» impreca la moglie, «Ragazzo, chiama un'ambulanza!»

Dormi sereno questa notte, Adham.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora