Quarantacinque

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«Ti aspetto qui.» mi dice mio padre mentre scendo dall'auto.

Sbatto la portiera senza neanche rispondere. Mi stringo nel cappotto e percorro velocemente la strada che costeggia il fiume in piena, attraverso sulle strisce pedonali e raggiungo la porta della biblioteca. All'entrata, affisso sul muro, un volantino raffigurante la foto di una bambina dai capelli rossi e gli occhi grandi. La scritta "Scomparsa", spicca insieme a tutte le altre.

Mi schiarisco la voce davanti alla bibliotecaria, ma lei si porta un dito alla bocca e urla un: «Shh!».

Ma lo sanno, le bibliotecarie, che con quel verso fanno più rumore dei sommessi bisbigli che tanto rimproverano?

Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. Mi inserisco tra le vecchie scaffalature ricolme di libri e cerco. In realtà non ho in mente un titolo preciso, ho solo bisogno di perdermi nella storia di qualcun altro.

Una copia logora de Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez attira la mia attenzione. Allungo il braccio per afferrarla ma, ovviamente, è troppo in alto. Ecco che qualcuno arriva in mio aiuto: sfila il libro e me lo porge.

Akil mi sorride compiaciuto, divertito, ammirato. Proprio come la prima volta. I granelli di pulviscolo aleggiano in aria illuminati dal raggio di sole che penetra dalla finestra grigia di sporcizia di almeno dieci secoli.

«Grazie.» bofonchio, tentando di nascondere la felicità nel vederlo.

«Non c'è di che.» sussurra, portandosi un dito alle labbra.

«Che ci fai qui?» sbotto.

«Ti ho seguita.» ammette senza vergogna, piuttosto gonfiando il petto di soddisfazione.

«Beh, non avresti dovuto. E poi non ho voglia di vederti.»

Bugia.

«Non è vero.» sussurra piegandosi in avanti, il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Non avvicinarti così.» scatto, spingendolo via, «Non ho voglia di essere baciata da te.»

Altra bugia.

Akil mi toglie il libro di mano e inizia sfogliare le pagine, forse con un criterio ben preciso: «Non dovremmo stare così.» dice, questa volta seriamente.

«Dovrei essere felice che questa cosa che abbiamo costruito, sia solo una fase di passaggio?» domando, senza rabbia ma con tristezza.

«No, certo. Ma...» risponde.

Mi porge il libro e indica una frase ben precisa:
"A me basterebbe essere sicuro che tu e io esistiamo in questo momento."

Sorrido, commossa dalla lusinga.

«Anche a me.» sussurro, «Per ora.»

Akil sorride a sua volta, mi spinge con dolcezza contro la libreria e mi bacia. Un bacio silenzioso, morbido, malinconico.

«Stiamo insieme, stasera?» chiedo.

Le nostre labbra ancora le une sopra le alte, i respiri mescolati, le ciglia impigliate tra loro.

«Si.» bisbiglia.

**********

Al centro della caverna di Akil scoppietta il fuoco di un falò improvvisato. Abbracciati l'uno all'altro ci ingozziamo di marshmallow arrostiti e pannocchie bruciacchiate. Ci raccontiamo aneddoti, ridiamo di vecchi ricordi, parliamo del senso d'ogni cosa. Insomma: ci godiamo il momento.

«Sei sempre stato sia aquila, che lupo, che cervo?» chiedo, leccandomi le dita appiccicose.

«No. Sono nato come aquila, ma ogni Totem può raggiungere tre forme.» risponde pettinandosi i capelli all'indietro con la mano, «Qualche mese dopo la mia nascita, un lupo morente ha avuto la sua seconda opportunità; mentre il cervo è arrivato poco prima che comparissi anche tu.»

«Quante forme hanno gli altri?»

«Solo due, per ora.» risponde, «In realtà, in questo momento, Eva riesce ad entrare solo nel serpente e Leonida solo nel corvo.»

«Non è possibile avere più forme?» chiedo, afferrando il pacco di marshmallow e infilzandone alcuni con uno stecco di legno.

«Un'antica leggenda parla del Totem Superiore, lui aveva raggiunto addirittura cinque forme. Ma noi sappiamo per certo che è una cosa impossibile, nessuno riesce a superare le tre.»

Akil afferra il suo stecco appuntito e infilza anche lui una serie di Marshmallow; all'ultimo di questi, finisce col bucarsi il dito. Una minuscola goccia di sangue comprare anche sul polpastrello del mio indice.

«Scusa.» dice, afferrandomi la mano.

Poso le mie labbra sulle sue e assaporo il dolce della sua bocca.

Ci sdraiamo sulla calda coperta rossa e smettiamo di parlare. Appoggio la guancia sul suo petto ascoltando il battito caldo del cuore.

Poco prima di crollare nel buio, un sibilo mi si insinua nelle orecchie e non posso fare a meno di sentirmi osservata.

Ma il torpore accogliente del corpo di Akil mi trascina nel sonno senza che io possa porre obiezione.

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