Cinquantotto

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Eva...

Odore di sangue. Sapore, di sangue.

Striscio sulla terra umida e crudele, una terra che trattiene gelosamente tutto il freddo dell'inverno. Le squame si spezzano in dolorosi crac.
Ma il sapore di sangue nelle narici mi chiama, mi invita, mi trascina.
Le mie ultime energie prima del prossimo pasto, le ultime forze che mi conducono alla prossima vittima.

Perdo la concezione dell'essere, perdo il legame con la realtà, quasi che quest'infimo corpo voglia la mia coscienza tutta per sé. E non ho abbastanza energie per oppormi a questa legge marziale di cui tutto mi priva, fatta eccezione per il gusto della carne degli uomini.

Striscio, striscio, striscio.

Cielo chiaro, nido degli umili; terra ruvida, nido dei vili.
La foresta mi soffoca, si chiude sopra di me come una gabbia di rami e radici. Le foglie sibilano nella mia lingua, insulti nella loro saliva di linfa, fronde come lame taglienti.
Un sentiero tracciato dalla corsa di un lupo, serpeggia tra i tronchi di due rami: aldilà dello spiraglio, una strada nera macchiata di sangue.

Sangue.

Sibilo con forza, striscio più velocemente. Sporgo la mia affilata testa piatta, assicurandomi d'essere ignorata dagli occhi pericolosi degli umani.

Un ragazzo e un lupo, i toraci che lottano contro la pressione dell'atmosfera che vorrebbe schiacciarli a terra, il fischio agonizzante dei polmoni che cercano l'aria, lo scarlatto liquido che si allarga invitante al suolo.

Un lupo e un ragazzo. Akil e un ragazzo.

La nuova consapevolezza da rettile lotta per contrastare la mia memoria d'umana, ma il suo odore è impresso nel remoto del mio cervello; così come l'attesa della vendetta, la cospirazione.

Il mio corpo combatte davanti alla scelta: divorare il ragazzo, oppure spostare il lupo dalla strada prima che arrivino i soccorsi. Soccorsi che si farebbero delle domande se Akil dovesse perdere la sua forma di lupo per via della debolezza.

Ma ho fame, tanta fame, penso, dando ascolto alle atroci fitte dello stomaco, forse faccio in tempo a dare un piccolo assaggio al ragazzo.

Striscio, le fauci già spalancate. Arrivo al ragazzo, ma prima che possa affondare i denti grondanti veleno, un corvo plana sul corpo straziato sdraiato scompostamente. Leonida mi attacca, cerca di beccarmi gli occhi e gracchia con forza, sembrano quasi ruggiti di leone.

Indietreggio sibilando di rabbia per il banchetto negatomi.

Raggiungo Akil e lo attorciglio con la coda. Faccio pressione sul mio ventre e lo tiro a me: il corpo mi si incurva in alto, imitando il modo in cui si muovono i bruchi. Le ultime energie per trascinarlo nel bosco. L'ormai opaco pelo di Akil, traccia una scia scarlatta che conduce al limitare della foresta. Ringhia di sofferenza, ancora totalmente incapace di riaprire gli occhi. Schiuma bianca e rossa gli inonda la bocca.

Devo portarlo in salvo, mi sento pensare. Ma un pensiero lontano, proveniente dalla mia interiorità separata dalla consapevolezza del serpente.

Faccio pressione sul ventre e lo tiro a me, lui non si muove, resta immobile. Ma attraverso la mia pelle dalle striature di diverse tonalità di verde, percepisco lo scorrere del suo sangue caldo.

Decine di minuscoli occhi curiosi, osservano la scena: volpi, conigli, corvi, cervi. Prede e predatori pacificamente uniti nel desiderio di sapere. Testimoni silenziosi.

Una nuvola di moscerini ronza intorno al corpo inerme di Akil. Lo trascino fino al territorio dei lupi: questi mi osservano in silenzioso rispetto, nel timore della sua sorte, nel terrore dei miei denti aguzzi. Imbocco l'entrata secondaria e approfitto delle ultime energie per condurlo fino all'interno della caverna.

L'odore di Dahlia è ancora forte nell'aria, quasi denso. L'acquolina in bocca risveglia la mia rabbia assopita. Adrenalina pura, ecco cosa sento. Ma devo avere pazienza, la virtù dei forti.

Mi attorciglio su me stessa e muto, per la prima volta dopo diverso tempo, nella mia forma umana. Il dolore è qualcosa di rigenerante, di saporito. Attendo che le fitte atroci si plachino e mi tiro in piedi: osservo le mie mani screpolate, le unghie spezzate e purulente. I capelli radi si spezzano al solo tocco, le labbra spaccate in decine di tagli sanguinanti.

«Che schifo.» sussurro al ricordo della mia antica bellezza.

Akil guaisce debolmente, fischi sottili gli graffiano la gola nella dimostrazione della sua sofferenza.

«Oh, falla finita!» lo rimprovero, «Se non avessi usato le tue energie per proteggere Dahlia, adesso saresti già in fase di guarigione.»

Visualizzo la ragazza beatamente sdraiata sul suo letto, le guance calde e il suo stupido gatto tra le braccia.

«Che stronzata, questa cosa dello scudo.» sbraito, «Avresti dovuto lasciare che sentisse anche lei le costole incrinarsi per lo scontro. Avresti dovuto lasciare che anche lei sentisse il proiettile nella spalla quando il poliziotto ti ha sparato.»

Akil non risponde, continua a gemere. Così sofferente sembra quasi qualcuno di diverso: è troppo piccolo e debole, troppo lontano dall'immagine del lupo fiero col petto gonfio d'orgoglio.

Inevitabilmente, torno al ricordo della criniera orgogliosa di Leonida e, subito dopo, al piumaggio spennacchiato del suo corvo. Un essere senza onore, vile.

Mi siedo accanto a lui, accarezzo il suo pelo impiastricciato di sangue. Mi porto le dita alla bocca e ne assaporo il gusto ferroso. Immediatamente, lo stomaco risponde nel suo furioso gorgogliare.

Devo andare a caccia... penso, sfoderando un ghigno maligno.

E quando tornerò qui, potrò dare inizio al mio piano.
Nessuno potrà salvarla, ora.

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