Sessantadue

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Guardo immobile la scritta incisa sul mio braccio; pietrificata.
L'odore della casa ormai vuota, mi ricorda il camion quasi pieno e la macchina già col motore acceso.

Non posso andare ora, penso disperatamente.

Riprendo respiro e lascio che l'ossigeno torni a nutrire il cervello. Finalmente le mie gambe si mettono in moto. Scendo velocemente le scale lasciandomi la camera alle spalle, la vetrata ancora spalancata sul panorama boschivo e ancestrale che sta pian piano scurendosi.

«Dahlia! Forza, è ora di andare!» mi chiama mio padre.

«Devo... devo ancora caricare un paio di scatoloni!» prendo tempo.

«Fai in fretta, io e tua madre facciamo in giro delle stanze per assicurarci di non aver lasciato nulla.» m'informa barcollando sulla gamba inferma.

Perfetto.

«Certo, mi ci vorrà solo un secondo.»

Mi avvio verso la camera degli ospiti e non appena i mei genitori scompaiono dal campo visivo, sgattaiolo furtivamente fuori dalla porta di casa. Mi muovo sul portico in legno col passo felpato, corro lungo il vialetto sperando che non buttino un occhio dalle grandi finestre della casa e mi infilo nel bosco subito aldilà della strada.

Ansimo, saetto tra la corteccia dei silenziosi alberi che tracciano la strada che porta fino alla caverna di Akil, l'unico posto nel quale mi viene in mente di cercarlo.

Ti prego, ti prego, ti prego, penso, sperando che i miei non si accorgano troppo presto della mia assenza.

Una numerosa famiglia di conigli fugge via al suono dei miei passi che, prepotentemente, calpestano il suolo della loro natura vergine. Oscurata dal fitto fogliame e dai numerosi aghi che ornano pini e abeti, la terra diventa sempre più scura, fino a non concedere più neanche una scintilla di luce a illuminarmi la strada.

Ci sono quasi, penso. Spero.

Scivolo più volte sul terreno umido di pioggia e di muschio, rallentando la mia corsa contro il tempo. Sento le ginocchia tremare al pensiero di cosa possa essergli successo, al pensiero della possibilità di non trovarlo nella sua grotta, al pensiero di essere trovata e trascinata sul sedile posteriore della macchina senza poter fare nulla.

Una flebile luna saluta il cielo da dietro la spessa coltre di nuvole violacee. L'odore di pioggia imminente investe l'atmosfera fredda e maligna. Sento la pelle congelarsi al di sotto del mio maglione leggero.

Un lampo dorato spacca il manto di nubi e subito dopo arriva il tuono che percuote violentemente la Terra. Sembra il suoni del frantumarsi di una montagna. Fulmini e boati si susseguono in una catena infinita, regalandomi brevi istanti di luce.

Raggiungo un piccolo spiazzo circondato da decine di caverne, probabilmente abitate da lupi silenziosi. Cammino svelta non curandomi del pericolo delle loro bocche ringhianti e, finalmente, trovo l'ingresso secondario della grotta. Mi piego sulle ginocchia e striscio all'interno, mi graffio i palmi delle mani e, dopo un tempo che mi pare infinito, rotolo goffamente all'intento della sua casa.

Non faccio in tempo a rialzarmi che la prima cosa che noto è il viso scavato e violaceo di Akil. Una mano dalle unghie spezzate ad accarezzargli la guancia.

«Scommetto che nessuno sa che sei qui.» dice Eva, sorridendo di maligna soddisfazione.

«Akil.» chiamo con decisione.

«Non può sentirti, se ne sta andando. Le sue ferite non riescono a guarire e sai di chi è la colpa?»

«Non ho fatto nulla.» mi difendo, le lacrime in gola.

«Invece sì: ti sei allontanata da lui, hai allentato il vostro legame, la sua unica fonte di energia.» insiste alzandosi in piedi e lasciando che la testa di Akil, poggiata sulle sue cosce scheletriche, sbatta contro il suolo pietroso.

«No, io non...»

«"Io non volevo", gnè, gnè gnè.» mi fa il verso, «Lo sai cosa succederà ora?» si avvicina movendo affaticati passi sulle sue gambe chilometriche.

«Mi staranno già cercando.» la metto in guarda, trattenendo il tremito nella voce, «Saprebbero che sei stata tu.»

«Tu credi? Hai visto, per caso, i volantini che tappezzano l'intero paese? Eppure io sono ancora qui.» dice, scrollando le spalle, «E sono ancora affamata.» sorride mostrandomi i denti affilati.

«No...» interviene debolmente Akil, allungando una mano senza poter fare nulla.

«Shh, amore mio. Ti sei svegliato? Non importa, torna a dormire.» risponde lei, la voce folle, gli occhi che straboccano di schizofrenia, il tic nervoso delle palpebre.

«Ero certa che bastava incidere sul suo braccio una supplica d'aiuto per farti correre qui.» continua, scuotendo la testa di fronte alla mia ingenuità.

«Cosa vuoi, eh? Vuoi che me ne vada, è questo?» urlo, sperando che qualcuno sia venuto a cercarmi e che riesca a sentire la mia voce.

«No, ora non mi basta più.» sostiene, inclinando inquietantemente la testa da un lato, «Ora ho fame, tanta fame.» si lecca le labbra e mi punta alla gola.

Faccio qualche passo indietro, ma inciampo sulla morbida coperta rossa che mi ha nascosta al mondo durante le più belle notti della mia miserabile esistenza.

Eva mi si lancia contro, mi afferra per la gola e mi tiene incollata al suolo. Mi dibatto istericamente ma non c'è verso di sfuggire alla sua morsa mortale. Tento di urlare ma la voce mi esce dalle labbra in un fischio.

Eva mi divora con la forza magnetica del suo sguardo smeraldo e spalanca la bocca: vedo la sua lingua muoversi come ad assaggiare l'aria che mi circonda. Poi, improvvisamente, butta gli occhi all'indietro mostrandomi la sclera bianca striata da venature rosse. Sento la presa allentarsi e il tremore brutale della sua carne. Il silenzio della grotta viene rotto dal suono delle sue ossa che si spezzano e dai rantoli atroci che le graffiano le pareti della gola. La spingo da un lato approfittando del momento di vulnerabilità e mi avvicino velocemente ad Akil.

«Akil! Akil!» lo chiamo.

Mi inginocchio accanto a lui e gli accarezzo la fronte sudata. Sotto le palpebre violacee vedo i suoi occhi muoversi da destra a sinistra, come se stesse leggendo immagini mentali.

«Akil!» insisto, ma lui è lontano anni luce da me e da questa caverna.

Guardo l'entrata secondaria della grotta e valuto la possibilità di trascinarmelo dietro; poi guardo la raccapricciante figura di Eva, nuda e distrutta, e mi rendo conto di non avere tempo per fare nulla. Di scappare da sola non se ne parla.

«Ti prego!» lo supplico, consapevole dell'inutilità delle mie lacrime.

L'affanno soffrente s'interrompe bruscamente, lasciando spazio ad un sibilo allarmante. Chiudo gli occhi e non mi volto, continuo a tenere stretta la mano di Akil e supplico che il tutto sia rapido e indolore. Ma so che non sarà così.

La cosa coperta di scaglie spezzate, mi aggancia il polso e mi tira indietro. Poi, con una lentezza disarmante, la serpe mi si attorciglia tutt'intorno. Non troppo stretta da non riuscire a respirare, ma neanche abbastanza larga da poter scivolare via. I canini affilati grondano di liquido verde, gli occhi folli velati d'odio, la lingua biforcuta che vibra minacciosa.

Eppure, l'unica cosa alla quale riesco a pensare, sono le forti ali che mi hanno alzato in aria tanto in alto da consentitemi di toccare le stelle con un dito.

Un nuovo tuono frusta la Terra e dà inizio al picchiettio forte e deciso delle prime gocce della tempesta.

Chiudo gli occhi e aspetto.

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