XXXVI

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«Voglio volare.» dico, rompendo il silenzio.

Siamo sdraiati a terra avvinghiati l'uno all'altro. Le mie guance ancora rosse e sulle labbra il tatuaggio del suo respiro.

«Toglitelo dalla testa.» risponde lui severamente, «Ho sbagliato quella volta. Se i tuoi dovessero vedere nuovi tagli sul tuo polso, potrebbero decidere di portarti via di qui. E poi il tuo corpo è marchiato da troppi segni causati da me, non intendo ferirti ancora.»

«Non m'importa dei tagli, io devo volare.» protesto in un sussurro, «E poi, se anche i miei dovessero decidere di trasferirsi un'altra volta, che importa? Tu potresti venire con me! Non ne hai abbastanza di Eva e Leonida?»

L'idea di lasciare questi luoghi verdi, saggi e profondi mi disturba, mi ferisce. Ma forse non è poi un'idea così orribile quella di allontanarci da tutto e da tutti. Un'altra volta.

«Non posso.» risponde.

«Non puoi o non vuoi?» chiedo, dando voce ad una nota di fastidio.

Akil sorride e mi bacia la guancia: «Non posso. Nessun Totem può, siamo legati ai luoghi in cui nasciamo. Non possiamo lasciarli.»

«Beh, allora non me ne andrò neanche io.» dico con sollievo, «Però, ti prego, concedimelo almeno un'ultima volta.» allungo il braccio a fargli capire il desiderio che muti in aquila e mi sollevi in alto nel cielo. Non m'importa della pioggia e dei lampi: voglio solo l'aria.

«Niente da fare.» dice alzandosi in piedi.

La coperta gli scivola via dal corpo lasciandolo nudo, ma non c'è imbarazzo in questo, non c'è neanche malizia.

Si avvicina alla vetrata e la spalanca: «Ci vediamo.» dice, facendo l'occhiolino.

Si tuffa di testa, simulando lo stesso movimento dei tuffatori olimpionici. Si rialza in aria sbattendo le sue larghe ali brune e vola via nella notte, spiccando sullo sfondo grigio piombo del cielo.

Richiudo svelta la finestra, accondiscendendo alle richieste di Mr Dunky che trema sotto il piumino invernale del mio letto.

Ormai Akil è un minuscolo punto scuro in un cielo altrettanto scuro.

Vorrei essere un Totem. Anzi, mi basterebbe essere solo un'aquila, ma andrebbe bene anche un passero o un corvo. Mi accontenterei d'essere una mosca, basta che abbia le ali.

Ho letto da qualche parte che il desiderio di volare è qualcosa che accomuna gli esseri umani, ecco che vengono inventati aeroplani, elicotteri, deltaplani. Ma io voglio delle ali mie e se questo non mi è concesso, desidero soltanto che il mio protettore, il mio Totem, mi presti le proprie.

E se neanche questo è possibile per colpa dei tagli, che causerebbero di riflesso diverse catastrofiche conseguenze, allora devo trovare un modo sicuro e accettabile.

Lo sguardo mi cade all'interno di uno spiraglio nell'armadio: una vecchia sacca di cuoio comprata da mio padre diversi anni fa, nella convinzione che si trattasse di un oggetto "assolutamente trendy", giace con la cerniera aperta.

Mi fiondo sulla scrivania alla ricerca del tagliacarte e con fastidio scopro la sua scomparsa, così come quella di forbici e taglierini. Devo accontentarmi di un paio di vecchie forbici dalla punta tonda.

Mi metto all'opera e, una volta terminato il mio progetto, sono quasi certa che possa essere un'ottima soluzione per poter tornare a volare.

Un ottimo compromesso.

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