XVII

2.4K 171 45
                                    

La strada sotto i miei piedi, ancora bagnata, luccica colpita dagli insoliti raggi di sole. Nera, ruvida di ciottoli sporgenti, brilla come il petrolio.

Cammino ignorando le occhiate dei passanti intanto che mi stringo al petto la copia de I dolori del giovane Werther.

«È lei, la ragazza di città...» bisbigliano le vecchie che, dai loro balconi, mi vedono passare con aria stralunata.

Strizzano, sbattono e stendono i loro panni guardandomi con disprezzo, come si fa con un lurido, strisciante verme. Una creatura senza onore e dignità.

Eppure quel ragazzo, Akil, mi ha salutata con rispetto. Non ha fatto solo questo per me, ha fatto molto di più. E ne sono certa perché non è possibile confondere la luminosità di quegli occhi. Erano proprio quegli occhi.

Non ho mai creduto a stronzate come le coincidenze: ogni cosa deve avere la sua spiegazione.
Posso però dire di credere nell'impossibile? Perché tutta questa faccenda va aldilà di ogni plausibile, ammissibile probabilità.

Eppure la verità è proprio quella, lo sento nel profondo di me stessa; Akil è l'aquila e su questo non si discute. Ora bisogna capire: com'è possibile tutto questo? E perché si è comportato come se nulla fosse?

Mi guardo intorno presa dall'incontrastabile bisogno di trovare risposta alle milioni di domande de mi frullano nella mente. In fondo non dovrebbe essere tanto lontano, no? A meno che non si sia... trasformato? Non so neanche quale sia il termine più adatto.

Magari sto solo impazzendo e questi sono i primi sintomi.

E forse è proprio così, viste le facce dei paesani che mi osservano con curiosità, come se fossi uno strano essere venuto da un altro pianeta. Ma ha importanza? No, non più. Mi rendo conto solo ora delle quantità di negozi, vicoli e scorciatoie di questo paese e ispezionarle tutte non servirebbe a nulla. L'unica cosa sensata da fare è quella di rimanere sulla strada principale, sperando di riuscire a scorgere la sua bionda capigliatura arruffata.

Alla mia destra, una strada di pietre dai colori tenui che costeggia una schiera di bassi palazzi dal tetto in legno; alla mia sinistra, lo scrosciare del fiume in piena che scivola nel suo letto di massi tondeggianti. Questo gorgoglia, schizza e gioisce nel suo mistico saluto al sole.

Decine di teste brulicano sui marciapiedi che rasentano i negozi; tra loro, niente che somigli ad un particolare di Akil.

Alla soglia della rinuncia, penso: trovare la forza di fargli qualche domanda quando ne hai la possibilità no, eh?  Maledicendomi per essere rimasta ferma, imbambolata, ad osservare le pagliuzze delle sue iridi.

Poi, tra la folla di persone che si affrettando a uscire ed entrare nei negozi, un bagliore familiare richiama la mia attenzione, una scintilla gelida che spicca tra tutti i pompon allegri dei berretti di lana.

Leonida allarga il suo sorriso sornione non appena i nostri sguardi s'incontrano. Alza una mano per richiamare l'attenzione, nonostante sia perfettamente consapevole della mia smorfia di disgusto e terrore.

«Melanie!» mi chiama, con falsa allegria.

Alzo gli occhi al cielo e mi volto per andarmene. Due lunghe falcate del ragazzo e, in un attimo, è al mio fianco. Mi mette un braccio intorno alle spalle costringendomi a fermarmi.

La sua mano penzola a pochi centimetri dal naso. Le unghie spezzate e sporche di terra, la pelle spaccata e tendente al viola.

«Dove te ne vai di bello?» chiede, tenendo un solo angolo della bocca piegato in un sorriso.

«Ovunque non ci sia tu.» sbotto, tentando di divincolarmi dalla presa.

«E perché mai? So essere un'ottima compagnia, sai?» mi bisbiglia all'orecchio.

«Non ho bisogno della tua compagnia, grazie.»

«No, in effetti non ne hai bisogno. Però hai bisogno di un consiglio.» mi sfiora la guancia con le labbra e sento ogni centimetro del mio corpo coprirsi di brividi di disgusto.

Faccio per divincolarmi ma lui mi stringe con forza, il braccio intorno alle spalle e una mano a tenermi fermo il mento: «Da adesso in poi, farai tutto ciò che ti dico.»

«Perché dovrei?» sibilo con disprezzo.

«Non devi. Il mio è solo un consiglio, sai... la tua bella aquila potrebbe perdere qualche piuma.» percepisco chiaramente la sua unghia mutare in un affilato artiglio.

Scorre divertito sulla mia gola, non celando la velata minaccia. Mi irrigidisco.

«Lo so: posso essere molto persuasivo.» si pavoneggia ritirando la sua lunga unghia tagliente.

«Cos'è che vuoi, si può sapere? E poi io non ho nessuna aquila.»

«Oh si che ce l'hai.» afferma premendo sulle cicatrici dietro le spalle.

Mi sfugge un gemito di dolore e sento gli occhi minacciare lacrime pungenti.

Leonida si lascia andare ad una risata gutturale piegando la testa all'indietro. Il prepotente pomo d'Adamo scorre su e giù come un galleggiante in mare.

«Quello che devi fare è molto semplice: quando tornerai a casa, dovrai maldestramente tagliarti la mano con un coltello. Non un taglio profondo, solo un taglietto superficiale. Che ne so, affetta qualche pomodoro e lascia scivolare la lama sul palmo della mano! Niente di che, no?»

«Perché?» sento la bile riversarsi nello stomaco.

«Che importa del perché? Fallo e basta.» sussurra, le labbra a pochi millimetri dalla mia guancia.

Sento il suo respiro solleticarmi con violenza la pelle, il suo odore di sangue e terra. Passa la punta della lingua sulla mia guancia, tracciando un percorso che va dal mento allo zigomo.

«Hai un ottimo sapore.» dice, quasi facendo le fusa.

Lo spingo via in uno scatto di repulsione e Leonida si lascia allontanare divertito.

«È stato un piacere.» mi saluta, prima di allontanarsi nel suo cappotto di pelliccia di volpe.

Le stesse parole di Akil; un suono totalmente diverso.

Mi lascio sfuggire la copia de I dolori del giovane Werther dalla mano; questa scivola giù, oltre la balaustra, e finisce nel fiume.

Scompare rapidamente sotto la schiuma delle piccole onde che increspano la sua superficie.

TOTEMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora