UNDICI

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«Questa ragazza, Eva, è stata sospesa e sanzionata per la condotta riprovevole; da quanto ho capito è stata costretta ai domiciliari. Le forze dell'ordine hanno fatto il loro meglio per far sì che tutti eliminassero quel video dalle loro gallerie.» afferma mio padre «Il preside si è premurato di sensibilizzare gli studenti al rispetto del prossimo. Non dovrebbero più esserci problemi, ma se non vuoi tornare a scuola troveremo una soluzione, tesoro.»

E quella soluzione sarebbe stata un nuovo trasloco, in un paese senza foreste verdi e fitte, in una casa senza quella vetrata, in un posto senza l'aquila.

«Solo sospesa? Perché non l'hanno espulsa?»

«Perché a quanto pare i suoi genitori sono persone molto influenti. Ma non preoccuparti, quel che ha fatto è molto grave e non passerà inosservato. Forse questa volta la polizia si deciderà a sfruttare tutte le risorse a loro disposizione per far sì che su internet non sia più possibile reperire materiale del genere.» risponde, la rabbia nascosta dietro la durezza della sua voce.

«Quella puttanella avrà ciò che si merita, signor Leiden. Glielo assicuro!» interviene Adham, battendo il pugno conto il palmo della mano.

Mio padre gli lancia un'occhiataccia e lui abbassa sommessamente la testa: «Ehm... volevo dire: quella ragazzaccia.»

«Abbiamo lasciato la nostra vecchia città perché avevi bisogno di ricominciare. Se vuoi andare via, sappi che esisterà sempre un nuovo posto pronto ad accoglierti.» aggiunge dolcemente mia madre.

Ma è proprio questo il problema. Non voglio dover ripetere quel rituale per tutta la vita: impacchettare le mie cose, caricarle sul furgone con la pubblicità della compagnia di traslochi sul fianco e riabituarmi a un nuovo posto, a una nuova realtà, ad una nuova identità.

Non è vero: sarei pronta a ripetere ogni cosa se solo avessi la garanzia di un po' di pace. La verità, il motivo per il quale sento una stretta allo stomaco all'idea di dover lasciare questa casa, sono le montagne.

La neve, le foreste, il fiume, lo stormire del vento tra gli aghi di pino, le stelle ben visibili sullo sfondo nero come la pece, gli animali. L'aquila e il lupo. La loro natura ancestrale. Perché queste sono le garanzie che ho di qualche momento di pace. C'è qualcosa che mi lega a tutto questo. Non so cosa sia, ma c'è.

«Vediamo come va...» sussurro, rimandando la decisione ad un altro momento.

Quell'improvviso e frainteso impeto di coraggio, illumina gli occhi orgogliosi di mia madre e fa gonfiare il petto a mio padre: «Testa alta, ragazzina.» dice grave, scompigliandomi i capelli.

Più tardi, quando ormai Adham se ne è andato da un pezzo, dalla fessura della mia porta sbircio mio padre controllare che la chiave sia ancora al suo posto. Probabilmente pensa che questo casino tremendo possa indurmi a... insomma, a fare qualcosa di stupido.

**********

È notte fonda e gli scricchiolii del parquet al piano di sotto mi fanno rabbrividire. Recupero la chiave dalla tasca del mio zaino e apro la finestra. Mi lascio travolgere dall'aria che ancora trattiene l'odore di neve. A sovrastare il picchiettio sommesso della pioggia che preannuncia l'arrivo della tempesta, il gracchiare di un corvo e lo stridire dei pipistrelli che approfittano dell'oscurità grigia di nubi per andare a caccia.

Mi siedo sul bordo della vetrata, le gambe a penzoloni nel vuoto che evito prudentemente di guardare, e il viso rivolto alla luna opaca che ruba la scena ad ogni altro protagonista di quella natura timida.

Mr Dunky mi chiama da sotto le coperte di pile ai piedi del letto. Scende giù, si stiracchia tenendo il petto basso e il sedere in alto e conclude il tutto con uno sbadiglio.

La pioggia inizia cadere, ora, con più forza, forse offesa dalla mia distrazione. Torno a contemplarla, lasciando che mi bagni il pigiama, mi coli lungo le caviglie per poi precipitare nel vuoto.

Quel vuoto che alla fine è riuscito ad attrarmi di nuovo. Questa volta, sotto di me vedo solo una profonda gola nera che si disseta di acqua piovana.

Se urlassi non mi sentirebbe nessuno. Forse solo i gufi riparati nelle tane dei tronchi, come quelle che si vedono nei cartoni animati. E se anche il mio grido fosse udibile, lo si potrebbe scambiare per il tragico richiamo di quella gola che mi aspetta, cantando gli echi delle gocce che raggiungono il fondo.

Una leggera pressione dei palmi, lo sbilanciamento di qualche centimetro e tanti cari saluti.

Chiudo gli occhi, respiro profondamente, ignoro Mr Dunky che si struscia contro la mia schiena tremante. Cerco qualche pensiero che possa farmi desistere, che mi aiuti a cambiare idea. Immagino il mio corpo in poltiglia, la disperazione dei miei, l'ululato del lupo e il pianto dell'aquila.

Ma solo dopo qualche istante, mi rendo conto che in realtà sono tutti motivi validi per farlo. Se salto, sono di nuovo Melanie. Finalmente la gente si dimenticherebbe di quella cosa e piangerebbe lacrime bugiarde.

Sì, lo faccio. Lo devo fare.

Stringo saldamente i fili della moquette, mi sporgo in avanti e... lascio la presa.

Cado.

Cado.

Cado.

Non emetto un suono, tengo gli occhi spalancanti nella brama di catturare ogni mio ultimo istante di vita: le rocce acuminate che sfilano veloci intorno a me, la luce della mia stanza sempre più lontana.

Gli alberi fitti che contornano la bocca di quella gola nera, diventano sempre più scuri e distanti. Sembrano protendersi, forse per afferrarmi.

La pioggia che cade insieme a me, circondandomi, accompagnandomi, congelandomi. La danza del vento e dei sospiri che si uniscono, mi stringono, mi uccidono.

Volteggio, ritrovandomi prima a dire addio al cielo, poi a salutare la terra grigia che aspetta di accogliermi nella poltiglia della sua tomba.

Ci sono quasi.

Vedo tutta la mia vita, il bene e il male. Vedo mio padre controllare che la chiave si trovi nel nascondiglio. Lo vedo dormire sereno.

Mi perdoneranno, lo so.

Chiudo gli occhi, improvvisamente spaventata dall'impatto.

Mi porto le braccia davanti al viso.

Uno strattone e non percepisco più la roccia avvicinarsi. Cado, ma al contrario. Mi sento bruciare all'altezza delle spalle, poi del liquido caldo e denso cola lungo la schiena, sotto il pigiama zuppo di pioggia.

Alzo lo sguardo: occhi gialli come l'ambra mi sorridono con serietà. Il becco rivolto alla luna, le ali spiegate e le piume tra le quali si insinuano le dita del vento.

L'aquila mi tiene stretta con i suoi artigli che affondano nella carne. La vita si paga col dolore.
Le sue grandi ali colpiscono l'aria con forza, scompigliando i capelli fradici che mi s'incollano al collo.

Emergiamo dalla gola, accolti dal trionfo di abeti che sussurrano vittoria. Le montagne tremano di gioia, il corvo ammutolisce, i pipistrelli quietano il loro frenetico battito d'ali. E il silenzio sovrasta il martellare energico, quasi atroce, del mio cuore.

La luna scompare dietro una nuvola plumbea, forse per nascondere la complicità nell'essere stata a guardare. Ancora qualche istante di stallo per salutare quella natura che mi accoglie come una figlia, e l'aquila mi riporta alla mia vetrata.

Mi lascia cadere sulla moquette sfilacciata, stride in un rimprovero e si allontana planando tra gli aghi dei pini.

Scompare nell'oscurità del cielo, donandomi come unica prova l'odore di selvaggio del quale sono impregnata.

Totem.

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