11. MILANO

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Alessandra's pov

Dal terzo piano di casa mia Milano sembra tranquilla.

La maestosità del Duomo, che anche da qui si fa notare e mi ricorda quando lui ha pronunciato: "Perchè oltre al Duomo a Milano c'è qualcosa?" Inutile dire che, piano piano, ha imparato ad apprezzare questa città anche se così affolata e, soprattutto, priva della presenza del mare, per i suoi gusti.

Il realtà milano è la città che più mi assomiglia: fredda, glaciale, razionare, contrallata, ma con tanto da dire, da mostrare, da dimostrare. Perchè nasconde tanto e dice la verità solo a pochi.

L'elevatezza dei grattecieli costruiti negli ultimi anni mi rammentano quanto eravamo affascinati la prima volta che li avevamo visti dall'interno perchè noi eravamo "gli ospiti d'onore" dell'elegantissimo proprietario, che vi aveva invitati per un'asta benefica.

ll ricordo delle nostre risate fragorose alle ridicole parole "ospiti d'onore", che per niente rappresentavano due scapestrati innamorati pazzi come noi, che avrebbero successivamente fatto sesso proprio nel bagno del casinò del quattordicesimo piano.

Il suo modo di allargare i bordi delle labbra carnose all'insù, mentre faceva spuntare le sue piccole e tenere fossette, per poi mostrare lentamente i denti bianco neve e, di colpo, lasciare uscire un suono armonioso, enegetico, contagioso come il morbillo. Quel suono che mi rimpieva il cuore e che io consideravo musica, la musica migliore di sempre.

Quel suono che per me era come una droga, era indipensabile, era vita.

Il suo modo selvaggio di attappoggiarmi su un lavandino di lusso, appena costruiti da dei ricconi che avevamo preso in giro da tutta la serata. Il modo in cui strappava il bordo del preservativo con i denti e poi mi ha sorriso malizioso. Il suo modo di prendermi, di farmi sua, di regalarmi piacere. Il suo modo di stringermi la mano sulla coscia e baciarmi dopo il sesso.

Quell'atto che per me era sempre speciale e mai banale, era il nostro modo di dedicarci all'altro anche nelle situazioni più impensabili, meno convenzionali.

Sposto gli occhi. Osservo imbambolata la cazzutaggine della ragazza bassina vicino il bar, che continua a litigare con quello che pare il suo ragazzo. Lo capisco da come lo guarda, dal suo modo di spintonargli la spalla, dal suo modo di gesticolare, che tanto ricorda il mio quando Luca quella sera mi ha supplicato: "Ascoltami... mi devi lasciare, fallo per te. Per una volta scegli te, invece di scegliere noi."

Mi focalizzo sullo sguardo della ragazzetta che è pieno di astio, ripugnanza, rancore, odio.

Odio che tutti, lei compresa, sappiamo sia solo apparente. Una messinscena per non rischiere di sprofondare in un mare di lacrime davanti a lui. Una corazza.

Assiglia troppo al mio odio nei confronti di Luca: inesistente.

Io non sarei capace di odiare nessuno, neanche al mio peggior nemico riesco ad augurare il male, figurariamoci a lui. Che ora è il mio peggiore nemico, ma è sempre e comunque stato la persona che più ho amato nella vita. E sempre lo sarà.

E purtroppo me ne sto rendendo conto solo ora, mentre ci penso. Capisco che pensavo di odiarlo, speravo di odiarlo, ma non è così, non lo sarà mai.

Risposto la traiettoria visita. Il ragazzo che continua a piangere sulla panchina. Alto, muscoloso, tatuato, quasi fa paura e si ritrova a piangere da solo su una panchina giallo ocra. In silenzio.

Il modo in cui le lacrime scivolano su quelle guance, anche quello non fa che ricordarmi lui. Lui che quando piangeva, non si asciugava mai quelle piccole goccioline trasparenti, perchè aspettava lo facesso io.

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