30. HAI VINTO

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Luca's pov

Quattro giorni che ho guardato mia sorella con gli occhi chiusi. Inerme. Distesa. Priva di sensi. Priva di parola.

Ma non oggi, non ora. Si è svegliata da cinque ore e ho passato con lei le ultime due.

La prima cosa che mi ha detto è stata: "Scusa." Non credo di averle ripetuto mai, in tutta la mia vita, così tante volte, che le voglio bene e che le scuse gliele dovevo io.

Insomma ero stato pessimo negli ultimi mesi.

Ammetto che sono stato un po' geloso nel sapere che il primo nome che ha pronunciato era stato: "Alessandra."

Ma sicuramente era l'ultimo ricordo che aveva, quindi ho accettato e incassato in silenzio. Esattamente come Fabri, che secondo me, ci è rimasto male, o un po' più di male, e non ha incassato il colpo bene quanto me.

Mia sorella pensava solo al suo ritorno: sembrava triste di non poter rimettere subito piede in casa ed il suo visino imbronciato mi ha rattristato non poco.

Purtroppo le toccano quindicii giorni di riabilitazione. Per quello che mi ha riferito Ale, è pure poco. C'è chi passa i mesi, quindi mi sono abbastanza rasserenato.

Appena ho incontrato gli occhi di mia sorella, mi sono rasserenato, in realtà.

Sembrava impaurita dalla situazione, ma qualche mia battuta idiota e qualche mio sorriso, che è magicamente diventata meno tesa.

Adoro pensare di rendere felici le persone che amo, perchè accade raramente.

Sono più bravo a deluderle.

Ma lei ha sempre avuto bisogno di poco, si è sempre accontenta, non si è mai lamentata. Io invece detesto il verbo "accontentare".

Ha sempre affermato che la semplicità è la cosa migliore di questo mondo. Lo penso pure io, ma non capisco che motivo ci sia di evitare di superare i propri limiti, andare oltre. Di lottare, di avere obiettivi da raggiungere, obiettivi sempre più ambiziosi.

Credo che lei pensi ancora quella cosa del "sapersi accontentare", ma si trattenga dal ricordarlo a me, che indosso un Rolex Daytona di 16.600€ e le scarpe di Louis Vuitton, uscite da due giorni.

So comunque con certezza che è fiera di me.

Sa che la mia vita non gira intorno a qualche oggetto costoso. Mi piace prendermi cura del mio aspetto, anche perchè io ci lavoro con esso. Ma queste scarpe non sono il mio bene primario.

I soldi non hanno mai ucciso nessuno, l'avidità sì. E io non sono avido.

"Allora, io vado." Mi informa Alessandra, con un sorriso stampato sul volto, mentre digita qualcosa sul cellulare.

Un campanellino d'allerme si accente e lampeggia ad intermittenza nella mia testa: a chi sorride? ha ricevuto un messaggio da Simone? sorride grazie a lui?

Dopo l'incontro con quel...coso, non abbiamo più parlato di lui, anche perché fortunatamente non si è più presentato.

Non mi sono mai arrabbiato tanto nel vederlo. Mi sentivo preso per il culo.

Ovviamente, io e miss-sorrido-al-cellulare-e-ti-faccio-crepare abbiamo comunque bisticciato per futilità, nonostante la sua assenza.

"Che ridi?" Domando incuriosito, mentre stiamo scendendo dal terzo piano e la affianco. Abbiamo deciso di dirigerci fuori da questo posto, che ci ha ospitato per troppo tempo, appena è finita la visita.

L'aria era diventata irrespirabile.

Mi guarda stranita e, mettendo il cellulare nelle borsa, mi ricorda: "Ma ci sei? Erika si è svegliata. Erika. Si. È. Svegliata." Mi ripete, scandendo bene e saltellando come una bambina a cui è appena stato comprato il suo gusto di gelato preferito.

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