51. PAURA

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Alessandra's pov

Mi stacco lentamente dalle sue labbra, ma sono ancora abbastanza vicina per sentire il suo respiro diventare più frenetico.

Ha paura della mia reazione?

"Scherzi?" Chiedo, cercando di sforzare un sorriso. Non è possibile. Stiamo passando l'ira di Dio, ogni due minuti succede qualcosa che rovina il nostro rapporto e lui decide di picchiare una persona?

Dopo che non gli ho fatto una sfuriata per aver tirato un pugno a Simo poi? Perché è vero. Potevo fare peggio. Potevo incazzarmi di brutto in tante situazioni, soprattutto ultimamente. Invece ho lasciato correre, ho pensato "È l'ultima cazzata, fa niente."

No, non c'è altra risposta: sta scherzando.

"Ha detto che voleva scoparti e sia io che Giona abbiamo perso la lucidità." Mi spiega, quasi in un sussurro. Sembra un bimbo intimorito e una parte di me vorrebbe ritornare a baciarlo, l'altra però riascolta le sue ultime frasi mentalmente e si sente un'idiota.

Siamo a un centimetro e sento il bisogno di allontanarmi, ma non lo faccio. Deve guardarmi in faccia e vedere i miei occhi riempirsi di delusione.

Lo scalfisco: "E quando mai non perdi la lucidità?" Sposta lo sguardo dal mio, ma porto una mano sul suo volto e faccio rincontrare i nostri occhi. Stringo la mano, ancora posata sulle sue guance, e lui mi risponde: "Anche tu la perdi spesso."

Sta girando la frittata con me, questo mi fa sentire anche peggio.

Controbatto: "Io non picchio gente a caso." Prontamente serra la mascella: "Neanche io." Annuisco in modo ironico e rispondo piccata: "Ho notato."

Sospira e capisco che sta cercando le parole adatte, che per lui è complicato spiegarmi perchè ha fatto quel che ha fatto. Sa che per me è inaccettabile.

Preme la lingua fra i denti concentrato e pare pronto a parlare, a spiegare, ma poi domanda: "Che hai detto hai ragazzi per entrare i camera mia?" Seriamente?

Credo la mia faccia spieghi il fastidio, infatti aggiunge: "Ti prego..." Sospiro perchè quando mi supplica non capisco più niente, spiego allora annoiata: "Che dovevo dirti una cosa importante su Erika e volevo dirtela di persona. Felice? Ora torniamo sul discorso principale."

Annuisce e sembra più sollevato. Poi si dirige verso la finestra. Controlla probabilmente se ci sia qualcuno in giardino, cosa abbastanza inquietante, e chiude le tende.

Che ansia...

"Abbiamo poco tempo, i ragazzi potrebbero sospettare qualcosa." Incrocio le braccia al petto frustrata: "Mi prendi in giro? Lo fai solo per non affrontare il discorso, vero?"

Mi osserva, stavolta da più lontano, ma comunque il suo guardo serio mi preoccupa sempre. È sempre giocherellone e solare, vederlo spaventato e rigido non mi piace.

"Lo abbiamo già affrontato. Ti ho detto che l'ho picchiato. Ti ho spiegato il motivo e tu ora sei presa male. Dai, fammi la ramanzina." Mi invita.

Ma che stronzo...

Ancora più furiosa di prima mi avvicino per poggiare il mio indice sul suo petto, per un attimo sobbalzo poichè è a petto nudo, ma poi affermo: "Tu hai affrontato il discorso, non io. E non ti farò la ramanzina, non sono tua madre. Sei un coglione. Anche se te la facessi, continueresti ad essere un coglione."

Mi giro verso la parte opposta incazzata. Mi sento come quando al ristorante quelli che hanno ordinato dopo di te, mangiano prima. Sbuffando, mi dirigo verso la porta. Che diavolo di paragone è? ho pure fame adesso, dannazione.

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