31. POSA LE ARMI

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Alessandra's pov

"Non è così grave." Mi informa Sofia, continuando ad accarezzarmi i capelli con una dolcezza, che oggettivamente non mi merito.

Io non sono così dolce con lei, io non me la merito nemmeno lei. Non so neanche come riesca a sopportarmi.

Siamo da un'ora sul divano. Lei è seduta, mentre io sdraiata, con la testa poggiata sulle sue gambe. Ho deciso di dirle tutto il casino che ho combinato ieri. Che ho concesso a lui di combinare.

Lo faccio solo ora, la mattina seguente, poiché ieri non ne avevo la minima forza.

Sono tornata a casa, mi sono chiusa in camera e ho pianto. Ma pianto come una bambina di sei anni, mi vergogno ancora, ripensandoci.

Fortunatamente, mi sono saputa trattenere davanti a lui. Non ha visto neanche una lacrima uscire dai miei occhi stanchi, come mi ero ripromessa.

Ma ho perso.

Ovviamente Sofi non concorda con me, con la visione delle cose, ma non mi convincerà, nessuno può farlo.

Continua a ripetere che va tutto bene, che non è successo nulla di così eclatante e che mi sto facendo problemi inutili.

Problemi inutili? L'unico problema qui è lui.

È il suo modo di essere, di fare, che mi fa formulare pensieri, che non credevo nemmeno di essere in grado di formulare. Mi fa fare cose, che non dovrei nemmeno immaginare di fare.

Mi fa essere come non dovrei essere.

"Io credo sia giusto così. Vi siete baciati, avete fatto quello che vi sentivate di fare." Afferma delicatamente, con ancora le sue esili dita tra i miei capelli e gli occhi posati nei miei, che mi donano una sicurezza disarmante.

La guardo confusa, non riuscendo proprio a comprendere: "Perchè mi vuoi bene?" Giuro, non capisco. Mi comporto sempre di merda e le volte in cui sono affettuosa sono rare.

Perchè continua a donare affetto a una che non è capace di ricarmbiarlo, forse neanche di riceverlo?

Mi guarda come se fossi importante, quando in realtà, quella importante è lei qui e sorride: "Perchè sei la persona migliore che io conosca."

Sgrano gli occhi e la osservo scioccata: "Allora conosci davvero delle persone orribili." Scoppia a ridere, nonostante io sia estremamente seria.

Poi, scuotendo la testa, mi ricorda: "La prima volta che ti ho parlato, mi hai guardata veramente male. Nessuno mi hai mai guardato così, non ho mai letto tanta diffidenza negli occhi di qualcuno. Avevo solo dieci anni, ma tu eri decisamente diversa da tutte le persone che avevo incontrato fino ad allora." Sorride, ricordando una me di dodici anni fa e io non posso fare a meno di credere che sia pazza.

Sorride pensando a me? Al mio carattere?

Continua il suo discorso, totalmente illogico ai miei occhi: "Ma quando ti ho parlato del pessimo rapporto con mia madre, il tuo sguardo è cambiato." Fa una pausa. So che per lei è difficile, decido di rispettare il momento, di rimanere in silenzio.

"Non ne avevo mai parlato con nessuno, non so perché ho deciso di raccontarlo a te. Sentivo che... mi avresti compresa ed avevo ragione." Vede sempre il buono in tutti. È decisamente un difetto.

Sospira: "I tuoi occhi non provavano pena per me, ma erano buoni. Mi ha spiegato che era tutto normale, che tutti avevano dei problemi in famiglia, ma che questo non mi doveva buttare giù. Eri così matura... Mi hai fatta sentire così capita, così giusta, voluta." Fa una breve pausa: "Tu sei l'unica persona con cui riesco ad essere davvero me stessa."

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