68. PERDONO

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Luca's pov

Sono qui da probabilmente due ore. Fermo. Immobile. Con una sigaretta tra le dita e molta speranza nel cuore.

La speranza che appena uscita da questo ospedale vorrà ancora parlarmi. Vorrà guardarmi negli occhi, urlarmi ancora che sono sbagliato. Maledettamente sbagliato. Che sono da allontanare. Sono uno stronzo. Sono un bastando. Ma sono ancora il suo. Il suo sbaglio più grande, il suo stronzo preferito, il suo bastardo di sempre. Il suo. Quello che deve, ma è incapace di allontanare.

Sbruffo una nuvoletta di fumo, inebriandomi di problemi e brutte sensazioni. Appena tuona nella mia mente l'immagine dei suoi occhi verdi, delusi e trafitti di dolore, che mi scutano dallo specchietto retrovisore.

Mi sento invaso dal senso di colpa, dal momento che sono pienamente cosciente che quello sguardo è solo merito mio, solo io riesco a dare vita a quel tipo di delusione in lei.

Sospiro con irruenza e riposiziono la sigaretta tra le labbra.

Dopo altri interminabili minuti ad accendere e consumare una sigaretta dopo l'altra, arrivato oramai alla quinta, vedo una chioma luminosa e castana contraddistinguersi dalla massa di persone all'entrata.

Ha gli occhi stanchi. Le labbra ferme in una riga dritta. Le mani che giocherellano con un pezzetto di tessuto della maglia. Le guance troppo arrossate per il suo solito. Il passo lento, fliegamatico, fiacco.

Si ferma accanto ad un albero, proprio di fronte alla struttura, quasi scaraventa la sua schiena contro il primo arbusto che nota, talmente è esausta nel lasciarsi andare all'indietro.

E piano piano crolla. Le ginocchia sembrano dover sostenere un peso enorme, tanto che la portano a sedersi per terra.

I miei occhi scattano di nuovo suoi suoi: le sue ciglia sono asciutte. Nemmeno una lacrima. Nemmeno l'ombra di una lacrima.

Rimango inerme ad osservare attento prima il suo profilo, poi il suo continuo deglutire e in fine il suo continuo passarsi la mano sul viso stanco.

Lo stomaco mi si ragommitola in una palla di ribrezzo verso me stesso. Mi odio.

Mi odio anche solo perchèpenso che sia dannatamente sexy, anche mentre sta così, mentre il suo umore è praticamente sotto terra.

A piccoli passi mi avvicino alla suo figura, un po' indulgente. Man mano che i miei piedi vanno nella sua direzione, le sue spalle sembrano incurvarsi sempre di più.

Vedo un ragazzo sulla destra notarla e incamminarsi verso la sua figura rannicchiata come se avesse la mia stessa intenzione.

Quasi lo polverizzo sul posto, difatti i miei occhi sembrano avvertirlo e urlargli forte e chiaro di allontanarsi.

Come un cane che ha appena ringhiato per proteggere la propria padrona decido poi di diventare come un cane che, con la coda tra le gambe, va a supplicare la propria padrona di avere ancora attenzioni e coccole per lui.

Non appena il ragazzo mi nota, la sorpassa senza fare ciò che aveva sicuramente intenzione di fare.

A questo punto io mi trovo esattamente di fronte a lei. Ci mette un po' a notare i miei piedi, ma appena i suoi occhi si puntano sulle mie scarpe, mormora: "Sei ancora qui?" È stremata, forse pure scazzata.

Quando mi rendo conto che non ha nessuna intenzione di alzare gli occhi verso di me, mi siedo a gambe incrociare di fronte a lei, che ha invece le ginocchia appiccicate al petto. "Come sta?"

"Non hai alcun diritto di saperlo." Risponde quasi subito stizzita, procurandomi un certo sollievo nel vederla innervosita e non indifferente a me.

Almeno mi ha risposto...

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