~Those who are dead are not dead
They're just living in my head~
- Coldplay 42
-Assassina!- quella parola ruppe il mormorio che regnava nell'aria.
Il salone circolare in cui si sarebbe tenuta l'udienza, ghermito di gente, si zittì di colpo.
Rose alzò lo sguardo sul viso di una donna sulla quarantina, che conosceva bene, e che ricordava con lucenti capelli castani e scintillante sguardo azzurrino.
Quel giorno però, i suoi capelli fuoriuscivano dalla crocchia disordinata, e il viso era scavato e solcato da profonde borse nere sotto gli occhi vitrei.
La donna reggeva un fazzoletto in mano, ed era piegata su se stessa, retta dal marito affinché non cadesse a terra.
Non si poteva certo dire che per Thalia Wickham fosse una bella giornata.
Rose resse il suo sguardo, finchè la donna non emise un rumoroso singhiozzo e si coprì il viso con il fazzoletto biancastro, abbracciando il marito che le passò una mano sulla schiena per tranquillizzarla.
-Hai ucciso mio figlio!- urlò ancora Thalia, e Rose sussultò vedendola tirare fuori la bacchetta dalla tonaca viola.
Non fece in tempo ad alzarla, che due Auror la affiancarono prendendola per le braccia e facendola scendere di peso dalla platea.
-Sei un mostro! Un'assassina! Io ti maledico!- urlava lei dimenandosi come una pazza, senza staccare gli occhi da quelli di Rose, mentre la portavano via.
Il suo volto era deformato dal dolore e gli occhi fiammeggianti di rabbia.
La rossa strinse le labbra e abbassò lo sguardo sulle manette di ferro che le circondavano i polsi. Erano fredde e pesanti, e Rose si chiese se nella sua cella ad Azkaban sarebbe stata costretta a portarle.
Pensò che in fondo lei era già maledetta. Che Thalia Wickham poteva anche augurarle il peggio, ma lei lo possedeva già.
Indipendentemente dall'esito del processo, lei era dannata per sempre.
'Rosalie' sussurrò una voce glaciale vicino al suo orecchio.
Rose chiuse gli occhi cercando di scacciarla: sapeva che non era reale.
'I morti non muoiono, lo imparerai presto' sussurrò ancora la voce del ragazzo.
Rose lo ignorò, non poteva mettersi a parlare da sola al suo processo... l'avrebbero dichiarata pazza ancora prima di assolverla o condannarla.
-Silenzio in aula!- gridò il Ministro Goldstein battendo il martelletto di legno e placando il mormorio che si era diffuso tra la platea.
-La difesa richiede la dichiarazione dei testimoni- continuò il Ministro sistemandosi gli occhiali rotondi sul naso e leggendo la pergamena che reggeva tra le mani grinzose.
-Sì, signore. Chiamo a testimoniare Amalia Gilmore- disse la voce di Hermione Granger alzandosi in piedi dalla sua scrivania in legno.
Era lei l'avvocato di Rose.
A New York non si era mai visto un Auror del Ministero inglese presenziare nelle loro aule come avvocato, e tra i vari consoli americani era stato visto di cattivo occhio, quasi potesse portare a un favoreggiamento.
Rose si era domandata se gli americani fossero caduti di testa dalla culla da piccoli, perché sembravano essersi dimenticati che a determinare l'esito del processo sarebbero stati proprio loro, insieme al loro Ministro.
Rose tornò alla realtà, e vide una ragazza apparentemente fragile che si abbracciava da sola e lanciava occhiate spaventate agli uomini attorno a lei, attraversare l'aula con passo incerto.
Sì ricordava di Amalia, della sua furia, e di come avesse voluto ucciderlo lei stessa...
Rose chiuse gli occhi, e si estraniò dal luogo in cui si trovava.
Non le fu difficile smettere di ascoltare ciò che aveva attorno: era ancora sotto shock, sebbene nessuno se ne fosse interessato.
Ricadde in una bolla di apatia, dove i ricordi le si susseguivano sulle palpebre chiuse come in un film, e il dolore le colpiva il petto a vampate sempre più forti.
Eppure abbracciò lieta quella sofferenza che la estraniava da ciò che la circondava: non era abbastanza forte per assistere al processo.
Sperava che sua madre sarebbe stata un buon avvocato, che l'avrebbe salvata e permesso di abbracciare ancora suo fratello Hugo, ma un'altra parte di lei sperava che la condannassero... che non le facessero più vedere il sole per via di ciò che aveva fatto.
Sapeva di meritarlo.
Non seppe mai quanto tempo passò, ma venne svegliata dalla trance dal rumore del martelletto di legno del Ministro, che la fece sobbolzare e voltarsi verso di lui.
-Assolta da tutte le accuse- disse lui brevemente, alzandosi dalla sua poltrona senza guardarla.
Assolta.
Sbattè le palpebre incredula, mentre un Auror le prendeva le manette aprendole con un colpo di bacchetta e liberandole i polsi; le guardò cadere ai suoi piedi, liberandola dal loro peso
Dopodiché camminò incerta scendendo dal podio di legno, e vide sua madre correre verso di lei e stringerla in un forte abbraccio.
Ron Weasley fece altrettando, sorridendole, ma Rose sapeva che quello non era il classico sorriso caloroso che il padre le aveva sempre riservato.
-Andiamo a casa- disse Hermione, circondandole le spalle con un braccio.
Rose trascinò i piedi come un automa fino all'uscita, dove vennero fermati da Jonathan Wickham.
Non era fuori di sé come la moglie, ma guardava Rose con occhi freddi e impersonali e l'espressione grave.
-Spero che ciò che hai fatto ti tormenti per sempre- sussurrò prima di voltarsi e uscire dall'aula con passo svelto.
Rose rabbrividì, e sua madre le passo una mano sulla spalla per riscaldarla, ma quel brivido non aveva niente a fare con il freddo.
No, era stata la consapevolezza che il signor Wickham avesse ragione.
Rose Weasley era dannata, maledetta, e ciò che aveva fatto la stava già tormentando.
Non sarebbe andata ad Azkaban ma sarebbe tornata alla sua vita, che ora era diventata un piccolo inferno personale.
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Marked
FanfictionRosalie Minerva Weasley è tante cose. È molto bella, con i suoi ricci color rubino e gli occhi azzurro cielo. È una giocatrice eccezionale di Quidditch, ex capitano della sua squadra a Ilvermorny, e ora Cacciatrice in quella di Grifondoro. È una...