51. Anime

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-I can't stop me.-

Ma Taehyung non si presentò il giorno dopo, né quello dopo ancora. Per una settimana aspettai vanamente che si presentasse, che pranzasse o cenasse a casa mia, ma lui non era più venuto. Mi ero ovviamente preoccupata, forse gli era accaduto qualcosa? No, perché il settimo giorno che la notte arrivò e lui non era ancora tornato decisi di chiamargli anonimamente e lui rispose; la sua voce era parecchio giù di corda, ma non riuscii a dirlo con esattezza perché una volta essermi resa conto che lui stava bene e che stava semplicemente evitandomi gli chiusi in faccia senza dire un'altra sola parola. Ero arrabbiata con lui. Perché allora mi aveva detto di aspettarlo e che mi avrebbe raccontato tutto? Perché aveva detto di odiarlo o amarlo fin tanto che non mi fosse indifferente se poi non era nemmeno venuto a raccontarmi del perché era coinvolto con mio padre? Forse perché era tutta una scusa? Disse la mia coscienza. Ne ero sicura. La sua assenza, il suo silenzio forse significavano una sola cosa e cioè che non sapesse cosa dirmi a riguardo di ciò che era accaduto per portarlo a lavorare con mio padre. Per giorni avevo pianto sperando che comparisse dietro la soglia della mia porta, per ore avevo pregato con tutto il mio cuore di udire la sua voce chiamare il mio nome e darmi delle spiegazioni valide per i suoi comportamenti, ma lui non lo aveva fatto. Era rimasto lontano da me e forse non lo avrei mai più rivisto. Stavo soffocando, vittima dei miei stessi pensieri. Non riuscivo ancora a togliermelo dalla testa e sebbene il settimo giorno le lacrime si erano fermate il mio cuore continuava a soffrire. Perché mi stava facendo tutto questo? Non era già abbastanza tutto quello che era accaduto? Sospirai voltandomi verso la finestra; fuori c'era un sole così alto che veniva voglia di passare tanto tempo all'aperto. Agosto era caldo e tremendamente lungo e nonostante sembrava fosse passata un'intera vita era ancora giorno tre. Ero rinchiusa in casa da già quattro settimane e tutto quel tempo non avevo fatto altro che leggere o rammaricarmi per colpa del mio destino crudele. Non mi era stato permesso di vedere Jeonghan perché ero ancora in punizione, non potevo uscire a fare una passeggiata e non potevo allontanare dalla mia testa nemmeno Kim Taehyung. L'unica cosa che mi era concessa era scendere in cucina o stare fuori in cortile, ben osservata da qualcuno così che non fuggissi via, ma ormai mi era passata anche la voglia di scappare. Ormai vedevo tutto nero e la possibilità di avere un futuro felice e brillante era sfumata via da quando ero stata costretta a tornare in quella casa.

Sospirai mettendomi a sedere sul letto e massaggiandomi la testa; i troppi pensieri stavano iniziando a farmi anche male. Decisa di non restare un altro singolo secondo dentro quelle quattro mura scelsi di scendere in cortile a leggere un libro, anche se mi sarei distratta un sacco di volte e non avrei capito un accidenti delle parole scritte nei capitoli. Decisi di restare in pantaloncini e maglia, indossai solo le scarpe da ginnastica e dopo aver afferrato il romanzo che avevo intenzione di finire entro quella sera stessa uscii fuori dalla mia stanza. Scesi le scale con fare depresso trovando in cucina solo uno degli uomini di mio padre che alzò gli occhi sui miei non appena sentì i miei passi sul pavimento. Lo guardai con attenzione notando una certa familiarità che non riuscivo a spiegarmi e quando lui aprì la bocca per dirmi gentilmente che cosa volevo fare quella mattina spalancai gli occhi. Si trattava di uno dei ragazzi che la prima sera avevano tentato di abusare di me, il biondo dalla voce profonda che mi aveva tanto ricordato quella di Taehyung. Lo fissai incredula rendendomi conto di quanto davvero mi era stati vicini tutti e che sarei anche potuta essere presa molto prima se non fosse stato per la polizia. Impaurita lo guardai vedendo nei suoi occhi un profondo rammarico che mi lasciò senza parole. Era tutta colpa di mio padre se erano stati costretti a vivere quella vita e non avendo voglia di litigare gli dissi che volevo leggere in cortile e lui molto comprensivo annuì seguendomi fuori. Il ragazzo si fermò parecchi metri lontano da me e io mi accomodai sotto un albero di mandorle che creava un'ombra abbastanza grande sul prato verde e curato del mio giardino. Gli uccelli canticchiavano sui rami e alcune farfalle volavano libere nel cielo; pensai che sarei voluta nascere farfalla perché anche se la loro vita è breve almeno sono libere. Fissai a lungo le sue ali azzurre ma poi mi resi conto di quanto era impossibile realizzare i miei sogni e rassegnata sfilai il segnalibro dalla pagina e mi misi a leggere. Erano passati ancora pochi minuti di lettura quando mi resi conto che una lacrima aveva solcato le mie guance calde per colpa dell'afa che si respirava fuori. Con le mani tremanti lessi e rilessi le parole di quella frase fino a imprimerla nella testa, sentendo un vuoto assurdo dentro lo stomaco. Nemmeno i libri mi liberavano perché tutto mi ricordava di lui. Rilessi per la quindicesima volta la frase che mi aveva spiazzato, sentendo le forze venire a mancarmi. Era tutto così frustrante. Credevo di essere forte, credevo che ce l'avrei fatta anche quella volta, ma quando mi accorsi della verità di quelle parole mi resi conto che non potevo dimenticarlo nemmeno fossero passati mille anni perché "di qualsiasi cosa siano fatte le anime la sua e la mia sono uguali"* ed era vero, io e Taehyung eravamo due gocce d'acqua. A noi due era stata negata la libertà, per noi due la vita era stata crudele e ora entrambi i nostri destini si erano divisi e chissà cosa ci avrebbe riservato il futuro. E faceva paura solo pensarci. Mi asciugai gli occhi tirando su con il naso e alzai lo sguardo verso in cancello lontano vedendo finalmente una luce di speranza farsi strada all'interno del mio cuore. Di scatto chiusi il libro e lo lascia lì a terra, poi mi misi a correre per raggiungerlo. Sudata e senza forze, le lacrime che bagnavano il mio viso, lo vidi camminare lentamente verso il portone di casa mia e non appena gli fui vicino le sue pupille si dilatarono. Senza pensarci lo spintonai e lo spintonai ancora, e poi ancora una volta senza riuscire a fermarmi e lui mi lasciò fare come se quella fosse la cosa più giusta da fare. Il suo sguardo era impassibile, i suoi occhi spenti come candele che erano rimaste accese per troppo tempo e che ora avevano perso la luce via via che le ore erano passate.

«Perché? Perché non sei più tornato da me?» lasciai andare via ogni singolo briciolo di dignità e orgoglio, lasciandogli capire quanto male avevo provato per la sua assenza, piangendo sul suo petto mentre lui rigido e freddo come una lastra di ghiaccio mi lasciava sfogare senza dire nulla e questo mi fece arrabbiare di più. Alzai furiosamente gli occhi sui suoi e fissai il suo rammarico con delusione. «Almeno dì qualcosa! Ti ho aspettato per una settimana intera e non mi dici niente ora che sei qui davanti ai miei occhi?» gli chiesi irritata, asciugandomi le lacrime mentre il suo sguardo indifferente mi squadrava, come se volesse riempirsi gli occhi di quella immagine, di me.

Dopo alcuni secondi di silenzio Taehyung sospirò puntando gli occhi sui miei quasi trattenendosi, come se potesse ferirsi se l'avesse fatto.

«Avevo bisogno di stare un po' da solo. Scusami.» disse semplicemente e ruppe il contatto visivo abbassando gli occhi sui suoi piedi. Avrei voluto schiaffeggiarlo.

«Questa è l'unica cosa che hai da dire?» gli chiesi rammaricata e ferita. Chi era? Lui non era il solito Kim Taehyung, qualcosa era cambiata all'interno dei suoi occhi.

«Ho preso una decisione che mi ha ferito, per questo mi sono allontanato per un po' di tempo. Avevo bisogno di metabolizzare il tutto, anche se non ci sono riuscito ancora come speravo. Se puoi perdonarmi fallo, se non ci riesci mi va bene pure.» il suo tono di voce era strano, basso come sempre sì, però dannatamente triste... mi passò accanto e fece per allontanarsi ma ovviamente non glielo lasciai fare.

«Avevi promesso mi avresti raccontato tutto.» dissi alle sue spalle stringendo forte i pugni delle mie mani. Doveva darmi ascolto e doveva anche dirmi tutto quello che era successo. Taehyung si fermò e sospirò abbastanza sonoramente, voltandosi e portandosi le mani sugli occhi per massaggiarseli. Notavo quanto stesse male, ma anch'io lo ero stata.

«Devo prima parlare con tuo padre.» rispose senza guardarmi. Feci un passo in avanti, togliendogli le mani dalla faccia e facendogli aprire gli occhi. Mi fissò con un luccichio evidente, ferito.

«Allora promettimi che non appena avrai finito di parlare con lui verrai nella mia stanza. Me lo devi Taehyung, promettilo.» pronunciai decisa.

«Sei davvero così stupida da fidarti ancora di me?» domandò sarcasticamente, ma mettendo da parte tutto l'astio e i rancori che provavo nei suoi confronti gli presi la mano e la strinsi forte facendogli sbarrare gli occhi.

«Sono così felice che almeno fisicamente stai bene. Non appena avrai finito con lui vieni da me, io ti aspetto nella mia stanza.» ribadii.

Per un po' mi fissò senza dire una parola, trattenendo forse le lacrime e lo sapevo perché ormai avevo imparato a conoscerlo, poi annuì indietreggiando un po'.

«Va bene Haeun.» disse prima di sparire dentro casa mia. Mi fidavo di lui, sapevo sarebbe venuto a darmi una spiegazione valida e con quel pensiero in testa corsi su in camera mia dimenticandomi di tutto il resto.


*Frase del celebre romanzo "Cime Tempestose" di Emily Bronte.

||La divisa e la ribelle||Kim Taehyung||🌸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora