Kinder Pinguì

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Le capitava spesso di mandare Francesco a comprarle degli assorbenti.

Più spesso di quanto volesse ammettere.

Le prime volte continuava a prendere quelli sbagliati, giustificandosi col dire che i verdi gli sembravano più carini, poi aveva imparato ad andare direttamente al colore giusto. Il fatto era che lei non riusciva a prevedere i flussi e si trovava sdraiata a letto, piena di crampi, da un momento all'altro. Supponeva, inoltre, che Francesco avesse una concezione enfatizzata di ciò che stesse succedendo nel corpo di lei (qualcosa simile ad un'apocalisse zombie che le nuotava nella pancia), quindi bastava un messaggio per riempirlo di complessi e farlo uscire di casa alla velocità della luce.

Eva lo apprezzava.

Lo apprezzava tutte le volte che entrava in camera sua e si metteva seduto sul bordo del letto, come se non volesse occupare troppo spazio. Diveniva piccolo e sorrideva piano, quasi a nascondersi.

Quel pomeriggio, Francesco le sembrava un bambino impaurito. Aveva lasciato gli assorbenti sul comodino ed era rimasto in silenzio per un po', morendo nella conversazione come la voce di un flauto ad un concerto metal. Eva lo aveva guardato a lungo, con la testa appoggiata sul cuscino e la gamba piegata. Aveva percorso le pieghe dei vestiti, i solchi delle occhiaie e il sorriso tirato, pronto a spezzarsi e riversarsi a terra in mille pezzi.

<Oggi ho visto quel cane che era saltato addosso a Lara per prenderle il panino.> Disse, solo per rendere quel sorriso un po' meno precario.

<Porta fortuna anche lui?> Chiese l'altro, passando le dita sull'orlo della felpa.

<No, quelle sono solo le coccinelle con sette pallini.> Eva puntò gli occhi sul volto dell'amico, cercando in lui qualcosa di simile alla tranquillità. Era pallido, un piccolo cadavere prossimo a scomparire. Le avrebbe fatto tenerezza, se solo non avesse saputo quanto si sentisse vicino alla frammentazione di tutto, un tutto di cui lei non sapeva assolutamente niente. Allungò il piede e gli toccò la schiena, quanto bastò per farlo voltare verso di lei: <Fra', che volevi dirmi?>

<Niente. Era una mezza scusa per vederci.>

<Non è vero.>

Eva attese, nonostante sapesse benissimo che Francesco non avrebbe mai intrapreso di sua volontà una discussione su qualcosa che lo preoccupava. Sembrava ripetere a se stesso che nulla di suo sarebbe mai stato sufficientemente importante per essere al centro delle attenzioni di due persone contemporaneamente. Una bastava e avanzava.

Francesco tendeva a crogiolarsi nel vortice che aveva nella testa. Le sembrava uno stormo di rondini che si intersecavano tra loro, rientrando in un buco piatto sul cielo. Le ali danzavano da sole e, nonostante si unissero e separassero di continuo, rimanevano in quella solitudine collettiva che non permetteva di guardare oltre.

Eva scostò una ciocca di capelli dal volto. Erano decisamente troppo lunghi e constatò che li avrebbe dovuti tagliare. L'ultima volta che aveva recato loro un cambiamento drastico si era guadagnata qualcosa di simile ad una frangia sbilenca, non particolarmente brutta, ma scomoda come una mosca intorno al miele. Era troppo corta per essere legata e troppo lunga per essere lasciata sciolta, in ogni caso non aveva fatto nulla per cambiarla. Che senso ha apportare modifiche a qualcosa nato come una rivoluzione definitiva? Aveva raggiunto il suo obiettivo: appariva come un riflesso più intenso di se stessa. A Francesco piacevano, diceva di trovarli diversi. E a Francesco piacevano poche cose, quindi sarebbe stato strano se non fossero piaciuti anche a lei.

Lo conosceva da sempre e aveva, comunque, la sensazione che mancasse un tassello, qualcosa di fondamentale. Come nello shanghai, lei non aveva la mano abbastanza ferma per far scivolare via i bastoncini, e temeva che cadessero tutti, portandosi via anche la parte reale di Francesco. Non riusciva mai a seguire il suo sguardo per davvero, lo vedeva bloccarsi a mezz'aria, incapace di spostarsi avanti o indietro. Non aveva nessun appoggio reale, fluttuava alla ricerca di qualche nuvola sulla quale addormentarsi.

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