Un giorno, adesso

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Francesco avrebbe voluto essere egoista. Uno stronzo, un egocentrico interessato soltanto ai propri bisogni. In quel momento, sperava che qualche emozione nascosta nel suo corpo gli permettesse di scappare, di tirarsi indietro, di fingere di non aver mai amato e di non poter amare mai.

Magari, in lui, c'era qualcosa di odioso, un agglomerato rivoltante che si accresceva nel suo stomaco e che avrebbe finito per divorare tutto il buono che aveva. Avrebbe dovuto fare in fretta, sbranarlo prima che Axel partisse.

Prima che partisse e lo lasciasse lì, con la consapevolezza di essere troppo poco egoista per fingere di non amare.

Quella mattina si era svegliato ed era rimasto confuso per una decina di minuti buoni, prima di rendersi conto di aver sognato. Nel sogno Axel dormiva accanto a lui e, per questo, quando aveva aperto gli occhi e Axel non c'era, un senso di apatia ed astrazione aveva assorbito la sua capacità di respirare.

Era stato un bel sogno.

Uno dei più belli che avesse mai fatto.

Ricordava poco, solo qualche particolare, eppure sapeva di essere stato felice, lì, sospeso tra il sonno e la veglia. Il sogno era cominciato con lui ed Axel che entravano in una camera, probabilmente dopo essere stati a cena fuori in qualche pizzeria. La stanza non somigliava alla sua, ma non era nemmeno quella di un albergo. Era piccola, angusta, ci stavano stretti, eppure era la loro stanza. Avevano una stanza. Con tre piantine sul davanzale della finestra.

Il Francesco del sogno non si era sorpreso di fronte a niente di tutto ciò: sapeva che avessero una stanza, sapeva che ci fossero tre piantine e sapeva che Axel fosse cresciuto. Sapeva che il suo volto fosse maturato, che gli occhi fossero diventati più profondi, sapeva tutto perché quella era la sua vita.

Facevano parte della sua vita anche i libri di farmacologia sulla scrivania, i vestiti suoi e di Axel sparsi sulla sedia, le foto di loro, Eva e Lara sulla bacheca. Nella sua vita era normale che Axel gli dicesse qualcosa riguardo alla spesa che avrebbero dovuto fare l'indomani e agli hamburger vegani allo zenzero che avevano provato qualche giorno prima e che avrebbero assolutamente ricomprato perché erano tanto buoni. Nella sua vita succedeva spesso che gli venisse voglia di dirgli ti amo, e succedeva altrettanto spesso che Axel gli sorridesse e gli mormorasse anche io, tanto, per poi avvicinarglisi, puntargli un dito sul petto e affermare che ciò, in ogni caso, non gli avrebbe risparmiato il suo turno di lavare il bagno e di sbrinare il freezer.

Al Francesco del sogno non importava, sapeva di dover dare un esame da lì a poco e sapeva anche che non si sarebbe mai sottratto ai suoi incarichi. Tanto, alla fine, Axel l'avrebbe aiutato a prescindere. Francesco era consapevole che anche lui frequentasse l'università e, sebbene non avesse idea di quale facoltà avesse scelto, la cosa gli faceva infinitamente piacere lo stesso.

Nel sogno erano stanchi, eppure si erano baciati ed avevano fatto l'amore lo stesso. Si erano stretti forte, con la certezza che quella non sarebbe stata né la prima, né l'ultima volta. Era la loro vita, e potevano farci tutto quello che volevano.

Al risveglio, Francesco non ricordava niente dell'atto in sé. Avrebbe voluto almeno un'idea su chi fosse stato sopra e chi sotto, ma la sua mente sembrava essere stata inghiottita dal vuoto cosmico. L'unica cosa che gli era rimasta intrisa sulla pelle era la sensazione di stabilità con cui aveva aperto gli occhi.

Nel sogno, sapeva che Axel fosse lì, accanto a lui, che ci sarebbe stato per sempre.

Sapeva che si sarebbero dati, l'un l'altro, tutte le cure di cui non ammettevano di avere bisogno.

Sapevano che si sarebbero baciati a lungo, che fossero cresciuti e che avrebbero continuato a crescere insieme, vicini. Che, nel maturare, avrebbero imparato a fare anche ciò che, nel presente, li terrorizzava.

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