Troppo

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Il ragazzo sorrise, quello era l'ennesimo locale che sarebbe durato al massimo una stagione estiva, per poi chiudere ad ottobre a causa del flusso estremamente ridotto, composto al massimo da una mezza dozzina di clienti abituali sulla settantina che ingerivano talmente tanto vino rosso da assumere un colorito simile a quello delle fragole mature.

<Perché dovremmo andarci?>

<Perché l'alternativa è stare qui in casa senza fare niente.>

<Non è vero, io stavo studiando.>

Lara sorrise e allungò un dito verso il foglio cosparso di macchie nere: <A me sembravi solo in crisi.> La ragazza parve annuire a se stessa, prima di riprendere a parlare: <Verrebbero anche Sofia e Francesca, probabilmente con Tommaso e Dario.>

Francesco rabbrividì. Solo il sentire i nomi dei compagni di classe gli provocava un senso di odio al sapore di nausea. Per carità, riusciva a sopportarli, ma non capiva dove fosse la necessità di vederli anche d'estate.

<Un motivo in più per non andare.> Fece una smorfia di rassegnazione e attese la ritirata di Lara, la quale di solito concordava con lui.

La ritirata non arrivò.

<Francesco, che palle. Non ti chiedo di andarci a cena. È che qui non succede mai niente, ora abbiamo cibo gratis e ti propongo di approfittarne. Non puoi stare sempre qui a fare-> Fece una pausa, come se le mancassero le parole: <Non so neanche io che fai.>

Il giovane rimase in silenzio. Solo l'idea di uscire e incontrare persone al di fuori della sua cerchia lo turbava. Eva non c'era, era da sua nonna, e, con lei, mancava il senso di tranquillità che portava con sé, Lara era espansiva, brillante e spumeggiante, in pochi secondi avrebbe iniziato conversazioni in cui lui si sarebbe sentito estraneo, allontanandosi dall'illusione di sicurezza che aveva in casa.

L'ultima volta che era uscito con qualcuno che non fossero Eva o Lara non era andata particolarmente bene.

Rivide Matteo davanti a sé, la posizione fiera che assumeva in ogni situazione, la sigaretta che stringeva tra le labbra.

Si rese conto di quanto, in quel momento, fosse rimasto accecato da quell'assurdo tentativo di aleggiare in quella che, per Matteo e gli altri, sarebbe stata la normalità. Una normalità malata, in cui si era sentito stretto, in cui ancora vibravano a mezz'aria il succhiare cazzi e il quello che è nostro.

Deglutì piano, affinché Lara non si accorgesse della sua instabilità.

E uscire non sarebbe stato complicato, alla fine non sarebbe rimasto solo come con Matteo, ma gli sembrava di star riportando il dito su una ferita ancora aperta, e il dolore si irradiava dalla pelle lacerata agli organi, si muoveva rapido, come un serpente su un suolo asciutto, e arrivava lì, al cuore. Socchiuse gli occhi.

Non voleva essere come loro.

Ma non voleva neanche restare così.

Era tutta colpa sua, sua e di Axel.

Sì, c'entrava anche lui.

C'entrava perché non poteva permettersi di sbucare dal nulla, come un fungo in uno di quei castagneti sopra al paese, per parlargli di coccinelle e fiori e buio. Gli aveva dato uno strattone e ora non avrebbe di certo permesso che lo facesse di nuovo.

Strinse il pugno.

Vaffanculo, Axel.

D'altronde, cosa si aspettava? Lui era quello nuovo, era simpatico, intelligente, era bello, Lara gli andava dietro, ma no, lui doveva distinguersi, doveva essere gay e doveva capitare a fagiolo in quel momento in cui, lui, di gay, ne aveva fin sopra alla testa.

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