Dieci euro di benzina

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<Non ti affezionare.> Elena ripose l'ultimo piatto nella lavastoviglie, silenziosa.

<Perché dovrei affezionarmi?>

<Perché non sono idiota. Si vede che ti sta simpatico.>

Simeon sollevò le spalle: <A te no? Non è male. Gli vuole bene.>

<Come hai fatto a capire che uno sconosciuto vuole bene a tuo figlio?>

L'uomo mosse le mani davanti a sé, cercando di spiegarsi almeno con quelle: <Non lo so, ma si vede.>

<Da che si vede? Perché non è detto che sia buono con Axel. Magari davanti a noi si comporta in un certo modo e con lui è un'altra persona.>

<Mi immagino.> Simeon sorrise, si sedette al tavolo della cucina e lasciò le gambe ondeggiare: <A me sembra a posto. Non penso che se avesse avuto intenzioni sbagliate ci avrebbe voluto conoscere lo stesso. E poi, per andare a correre domani, avrebbe trovato qualche scusa. Vuole fare buona impressione e ci sta provando in tutti i modi.> Si lasciò affondare, per quanto possibile, sulla sedia di legno: <Se non avesse voluto bene ad Axel, o se si fosse vergognato, non si sarebbe mai fatto vedere da noi.>

<Non lo conosci. E lo sai come sono i ragazzi di quell'età.>

<Intanto che tu sei qui a dire così, lui è in giardino a subirsi Clara e Amelie con la loro collezione di sassi.> Le fece cenno di sedersi sulla sedia accanto alla sua: <Fattene una ragione perché, secondo me, questa non sarà l'ultima volta che lo vedrai.>

Lei rimase in silenzio, pensando con assiduità al momento in cui Axel gli avrebbe confermato che sì, quel ragazzo era il suo ragazzo.

Aveva sempre visto Axel come un bambino. Un bambino che si stupiva di fronte al volo delle farfalle.

Gli altri maschi di diciassette anni avevano smesso di guardare le farfalle già da un pezzo.

<Glielo fai tu il discorso sul sesso protetto? Perché io l'ho già fatto a Lukas e dobbiamo dividerci i compiti.>

Simeon sorrise, la guardò a lungo: <Glielo faccio io.>

<Grazie.>

Continuarono a non dire nulla, a sussurrare qualcosa che le loro bocche non volevano esprimere sul serio. All'improvviso Elena si fece passare le dita sulle labbra, compiendo, per l'ennesima volta, il gesto che rappresentava da sempre una prova tangibile della sua ansia: <E se avessimo capito male, sia noi che Axel? Metti che a Francesco i ragazzi non piacciano proprio. Axel pensa di sì, perché magari ha frainteso qualcosa, e allora un giorno decide di dirgli che gli piace un pochino. Lui che fa? Si arrabbia. Perché si offende e sente minacciata la sua virilità. Per Axel sarebbe una batosta enorme.> Elena sospirò e guardò fuori dalla finestra, dove si intravedevano i due ragazzi e le gemelle: <Non se la merita.>

Simeon l'aveva contemplata per anni interi.

Mesi, giorni, ore spese ad osservarla come la parte più pura dell'atmosfera. Ore di lei che non sarebbero mai bastate.

<Sa quello che avremmo pensato nel momento in cui Axel ce lo avrebbe presentato. Avesse avuto la virilità fragile non si sarebbe fatto vedere.>

Simeon riteneva che Francesco gli somigliasse, almeno un pochino, per il semplice fatto che Axel somigliasse ad Elena.

Ed Elena pensava troppo in fretta, ed era affascinante l'affannoso tentativo di starle dietro. Immaginava che Francesco si fosse innamorato della medesima fatica di cui si era innamorato lui.

<Secondo te sa della retinite?> Elena buttò là la domanda come carne su un fuco ardente.

Era una questione semplice, lineare. Bastava un sì o un no.

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