Stomaco

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Quando gli altri uscirono dall'acqua, ormai era chiaro a tutti che la giornata fosse sul punto di terminare. Francesco e Axel non si dissero più nulla, limitandosi a dirigersi, in silenzio, verso i teli sulla spiaggia. Le magliette, sui costumi ancora bagnati, divenivano umide e aderenti, capaci di adattarsi a ogni curva dei corpi. Eva sorrideva e teneva la mano sulla spalla di Lara, che era china per infilarsi un paio di pantaloncini scuri, destinati a fradiciarsi integralmente. Axel scivolò accanto a Lukas, aiutandolo a riempire il bagagliaio con zaini e borse sabbiose, sovrapposte tra loro fino a somigliare a qualcosa di inquietante. Francesco provò a dare una mano, cercando di non avvicinarsi troppo. Axel gli sorrise.

I ragazzi salirono sul furgone dopo pochi minuti, mentre l'umidità si disperdeva nell'aria calda, appiccicandosi a volti e indumenti. Ovviamente, la distribuzione dei posti era cambiata, solo Axel era rimasto nella stessa posizione di prima. Dietro di lui, Lara conversava con uno dei due tizi nuovi, mentre l'altro si era posizionato accanto al guidatore.

Per Francesco, le alternative erano due: il seggiolino centrale o quello a lato.

O meglio: vicino ad Axel o con un posto a separarli.

Sarebbe stato più semplice piazzarglisi lontano, ma un tale comportamento l'avrebbe fatto passare da disadattato sociale e non era decisamente il caso. Inspirò e gli si sedette accanto.

Teneva lo sguardo basso e sperava che l'altro stesse facendo lo stesso. Sprofondò sul sediolino nero e volse gli occhi verso l'esterno, per distrarsi a guardare la luna calante che brillava nel cielo scuro rendendo il mare un timido specchio, nell'istante in cui l'ennesimo gabbiano strideva, insistente, tra le stelle. Le scogliere a picco sulle acque rappresentavano una barriera per le onde più audaci che arrivavano su, tra le fronde degli arbusti scuri che si disperdevano in mezzo alle rocce pallide, ancora più in alto delle insenature buie.

Axel non disse nulla, però gli sorrise. Ed era la seconda volta nel giro di venti minuti. E non c'era un accidenti di buon motivo per sorridergli.

E fu un sorriso così vicino che Francesco sentì un boato forte quanto un tuono nel petto, un boato che fece tremare la sua pelle, le sue ossa e tutto quello che c'era oltre a loro. In quell'istante ci furono terremoti, tornadi, tempeste e frane tutte insieme, tutte in quello spazio così piccolo che era il cuore di una persona.

E fu un boato così forte che, quando Eva salì sul furgone, Francesco si spinse sul sediolino a lato, con il pretesto di facilitarle la strada e con l'intenzione di lasciare che Axel sorridesse a lei e non a lui. Eva lo ringraziò, incerta, e si sedette tra i due, guardandosi attorno come se le fosse sfuggito qualcosa o come se avesse capito ben più di quanto credesse.

Cercò Lara con gli occhi e, quando la trovò, la vide sollevare le spalle.

Eva non disse nulla. Sfilò i piedi dalle ciabatte e posò la testa umida sulla spalla di Francesco, tenendo le labbra socchiuse e i capelli, arricciati dall'acqua di mare, dispersi sui loro corpi.

La strada non asfaltata scompariva sotto le ruote del veicolo e il mare si allontanava dal campo visivo del ragazzo, mentre Eva, un po' per stanchezza e un po' per quel senso di inadeguatezza che l'aveva colta infilandosi clandestinamente tra due anime in tensione, aveva chiuso le palpebre e, con esse, i due cerchi azzurri, abituati a guizzare da un volto all'altro.

Quando si svegliò, trovò Francesco esattamente nella stessa posizione che aveva assunto tempo prima. E non stava minimamente partecipando alla conversazione portata avanti dal gruppo, ovviamente. Non si stava nemmeno sforzando. Rimaneva zitto, guardava ora in basso, ora fuori dal finestrino. Ascoltava tutto, ma non parlava mai. Non le permetteva di analizzare a lungo i suoi dubbi o le sue perplessità, quindi Eva era obbligata ad assisterlo dall'esterno.

Si fidavano l'uno dell'altra nel modo più cieco in cui ci si possa fidare. E lo facevano riempiendo tutti quei silenzi di segreti concessi e non ancora espressi.

Francesco ometteva tutto, parlava solo di ciò di cui non gli importava realmente. Il resto restava nello stomaco, marciva piano e diventava un insieme confuso e maleodorante di possibilità gettate nel meandro della paura.

E, sempre nello stomaco, Francesco dava vita a un'infinità di sensazioni contrastanti, sottili e spesse. Eva lo sapeva, lo sapeva perfettamente e cercava ogni giorno di entrare in quell'angolino così nascosto da fare paura. Ci metteva dentro un dito per volta, piano piano, senza correre. Ogni tanto, Francesco la ricacciava indietro e, lei, allora, ci riprovava con più forza di prima.

Francesco si sentiva tremendamente diverso da Eva. L'aveva vista cambiare, crescere con una velocità disarmante, ma sapeva che lei avrebbe desiderato, più di ogni altra cosa, affondare le mani in quelle possibilità e tirarle fuori, una ad una, rendendo Francesco libero di essere.

Eva si voltò a sinistra, laddove anche Axel si estraniava dal chiacchiericcio degli altri. Aveva l'espressione di chi non capisce un cazzo e vuole lo stesso fare il casino più immenso della propria vita. Eva si era fatta la propria opinione su Axel, e la suddetta opinione consisteva in una specie di etichetta con su scritto ho più palle io che tutto il resto del furgone messo insieme. Era evidente, avrebbe tranquillamente potuto fare un power point per dimostrarlo. Il ragazzo teneva le labbra tese, e le punte delle sue dita erano costantemente rosse, perché il suo corpo era stressato e si dimenticava di mandare il sangue laggiù. E, nonostante questo, aveva gli occhi più profondi di chiunque altro, lo sguardo più fermo di quello di un re.

Axel era un bel casino.

Le stava simpatico.

Quando si accorse di essere guardato, Axel aggrottò le sopracciglia e rise. Eva pensò che, con quella faccia, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Poi si rese conto che, con tutta probabilità, era troppo buono per andare a fare gli occhi dolci a qualcuno con lo scopo di ricavarne qualcosa.

E Francesco era troppo idiota per rendersene conto.

La ragazza trasse un respiro e si voltò verso di lui, dandogli un pugnetto sulla spalla. Si sentiva una sorta di supereroe e il destino del mondo stava nelle sue mani. E per destino del mondo intendeva il destino del suo fottutissimo migliore amico che non era in grado di accorgersi nemmeno dei più fottutissimamente evidenti occhi dolci della storia.

<Hai presente Gesù bambino? Dimmi se non somiglia ad Axel.> 

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