Luce

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Axel era sottile.

Caldo e sottile.

Aveva un respiro sussurrato, si muoveva restando fermo come se fosse stato congelato per metà.

E Francesco non se lo sapeva spiegare. Perché non era congelato, anzi, sentiva il suo corpo bruciare su ogni parte di pelle che costituiva il distacco contro la sua.

Fu felice di averlo vicino.

Temeva di compiere un movimento che l'avrebbe allontanato, temeva di far scappare una farfalla che si era posata sulla sua spalla, pesando d'aria come un desiderio.

Per questo restava fermo, ad ascoltare il respiro che si placava, mentre tutto il resto iniziava a riecheggiare attorno ad occhi che non volevano guardare nulla, nulla al di fuori di quell'immenso niente che lo cullava come il più breve dei sogni.

È sbagliato, pensò.

Non è normale.

Lo stomaco si strinse, come se un serpente lo stesse circondando con le sue spire.

Guardò i papaveri per non guardare Axel, li trovò bellissimi.

Il vento minacciava di spingerli via, oltre il grano, oltre le creste delle colline strette tra le spighe. I petali rossi restavano incastonati tra i sassi persi sotto il terreno. Erano trattenuti, strappati al vento e carezzati dalle nuvole. Qualcosa li ancorava, come un epilogo già scritto, stanze finali di un componimento perso nelle parole. Era stato deciso un ordine flesso sul ritmo di pelle su pelle, petali su dita. E nessuno avrebbe mai oltraggiato il vento.

Luce.

Francesco ripeté la parola, in silenzio.

Sapeva di conoscere la traduzione in francese, ma, in quel momento, gli sfumavano i ricordi.

In compenso, la ricordò in latino.

Ogni tanto gli riaffioravano in mente le declinazioni che aveva impiegato ore per memorizzare, e tutto questo era snervante e inutile, eppure succedeva.

Dubitava che servisse a qualcosa sapere a memoria tutte le uscite di cinque declinazioni diverse, incluse particolarità e pluralia tantum, ma ormai erano conoscenze intrinseche e restavano là, occupavano, nella sua mente, uno spazio che lui avrebbe solo voluto svuotare. C'erano un sacco di cose che avrebbe potuto mettere al loro posto. C'era quell'istante esatto, quel momento preciso e fissato in un tempo indefinito, quel secondo in cui non c'era niente. Solo Axel, la sua mano accarezzata da dita che tremavano, come se avessero avuto freddo. C'era quel silenzio che non sarebbe mai stato in grado di ricordare in tutti i suoni, c'era quella cerulea necessità di un niente che era diventato immisurabile, un niente che non era mai stato silenzioso e che, adesso, gli sussurrava nelle orecchie parole intense, parole che non aveva mai sentito. Parole che gli facevano tremare le dita, parole che lo spingevano sempre più vicino alla forma di terrore più acuta: quella che, per qualche assurda, inspiegabile, lancinante ragione, era giunto ad accogliere come un'amica. Quella che gli faceva sussultare il cuore nel petto, quell'affetto sbagliato e meravigliosamente irreale. Una nuvola, un papavero, una luce piccola e intensa, accecante.

Lux, sostantivo femminile. Terza declinazione. Genitivo in is, dativo in i. L'accusativo era il suo preferito, c'era sempre la emme di mezzo, era facile da ricordare. In quel caso era lucem. Poi c'era il vocativo, identico spiccicato al nominativo. Infine l'ablativo, luce.

Ablativo singolare.

Non aveva idea del motivo, ma tutto, in qualche modo, finiva per uscire in ablativo.

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