Timore

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C'erano voluti tre giorni.

Tre giorni da quando aveva spiegato a sua madre di essere intenzionato a cercare un lavoro estivo.

Tre giorni in cui sua madre gliel'aveva trovato

Se avesse dovuto spiegare a qualcuno come fosse riuscito a trovarsi in un negozio di alimentari quasi completamente vuoto, con due bambini accanto, tre porzioni di lasagne precotte in una mano, una bottiglia di chinotto nell'altra e Lukas sorridente, pochi metri distante da lui, probabilmente avrebbe detto che, quella, sarebbe stata una storia troppo lunga per essere raccontata.

Perché, forse, un po' stentava a crederci anche lui.

Forse, ci aveva creduto talmente tanto da voler tenere il ricordo vivido e limpido, come uno specchio d'acqua troppo bello per poter riflettere la realtà.

Perché, in quella domenica di fine giugno, quando le rondini coronavano il cielo, quando i pini ondeggiavano al vento, Francesco aveva sentito le sue debolezze sfiorare la superficie, per poi distruggerla e uscire allo scoperto, finendo a percorrere correnti tumultuose sull'aria calda. Probabilmente avrebbe avuto paura a dirlo, ma quell'esatto terrore lo aveva reso così felice da dimenticare la felicità stessa, la paura, la debolezza e ogni tipo di forza. Non esisteva più nulla. E, in quegli istanti staccati dal tempo, Francesco aveva provato, sulla sua pelle, un'essenza indelebile, qualcosa che le parole non avrebbero potuto spiegare, perché nessuna lettera avrebbe potuto racchiudere neanche un solo pezzetto di quella piccola fiamma che ardeva in lui. Aveva tolto il coperchio che la teneva nascosta, e in quella stessa domenica di giugno lei aveva visto, per la prima volta, i colori del cielo, colori nuovi senza alcun nome, colori che avrebbero iniziato a brillare nei suoi occhi come gocce di pioggia al buio.

Quella domenica, lui aveva smesso di vedere e aveva iniziato a sorridere di fronte all'ignoto, a quel sentimento inspiegabile che gli animava il petto.

Quella domenica, Francesco aveva ammesso che la gioia nata da germi nuovi, al di fuori dai ricordi e da qualsiasi sogno, era tanto dolce quanto sconvolgente.

Quella domenica, aveva amato la novità, l'aveva avvolta tra braccia scosse e si era riscaldato con quella piccola scintilla, mischiando il terrore alla febbrile emozione che avrebbe voluto sfiorare sino all'alba.

Quella domenica, Francesco aveva scoperto di non essere allineato con la normalità, e di trovare splendido l'amare un timore.

Ma non poteva saperlo, quando il sole era ancora alto nel cielo e Lukas, davanti a lui, lo salutava, infilando due confezioni di yogurt bianco in un carrello stridente e malmesso.

Francesco si rese conto, in quell'istante, di aver sbagliato a non munirsi di un contenitore qualsiasi. Aveva l'impressione che i gemelli avrebbero volentieri continuato a indicare ogni cibo che sembrasse loro allettante. E, evidentemente, la bottega di paese ne era piena. In dieci minuti aveva valutato, almeno tre volte, la possibilità di chiamare la madre e ricordarle che nessuno, e avrebbe ripetuto nessuno, aveva avuto il garbo di spiegargli che i bambini ai quali avrebbe dovuto dare ripetizioni sarebbero rimasti a casa sua anche per cena.

E la casa era vuota e in disordine.

E non pensava che potesse sfamare due bambini in pieno sviluppo con i sei barattoli di marmellata che aveva.

E la facilità con cui la loro madre gli aveva esposto il programma da attuare continuava a martellargli la testa. Probabilmente aveva già dimenticato l'attività da avviare alle sei di sera, così come non ricordava i passatempi da svolgere dopo cena (perché sì, i fratelli sarebbero dovuti tornare a casa alle ventidue, mentre a lui sembrava già complicato dover spiegare le divisioni in colonna).

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