Odore

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Da piccolo, Francesco aveva un enorme libro di curiosità sulle api. Era un volume con pagine ruvide e lievi disegni ad acquerello. Gli piaceva tanto. Lo leggeva spesso e ricalcava le immagini, con estrema cura, su un foglio bianco. Non era mai completamente soddisfatto di quello che ne veniva fuori: gli sembrava tutto troppo calcato e lui avrebbe solo voluto essere leggero. Quello era stato un problema che Francesco si era portato dietro fino alla scuola superiore: durante le lezioni di disegno tecnico premeva sempre troppo forte la matita sul foglio e veniva fuori un casino. Casino a detta sua, perché se l'avesse chiesto a qualsiasi altra persona si sarebbe sentito dire il contrario.

Gli sembrava che qualsiasi pagina di quel libro fosse la sua preferita, ma tuttavia, ad anni di distanza, si ricordava solo alcuni fatti. Il primo era che ogni famiglia di api aveva il proprio odore, unico, differente da quello di qualsiasi altro gruppo.

Non era una curiosità particolarmente interessante, anzi, Francesco l'aveva sempre ritenuta una delle più noiose del libro. Ma la sua mente tendeva a ricordarsi particolari casuali riscontrati nel corso degli anni, e la curiosità era una di quelli.

Gli sembrava una cosa scontata, ovvia. Sapeva che, se avesse trovato un cucciolo di capriolo, non l'avrebbe mai dovuto toccare perché, altrimenti, la mamma avrebbe percepito il cambio di odore del figlio e l'avrebbe lasciato lì, solo. Quindi pensava che l'odore fosse una caratteristica specifica di ciascuna famiglia animale.

L'odore, non il colore. Per esempio, lui non aveva idea di come funzionasse la trasmissione del colore del manto del daino, non sapeva neanche se fosse una cosa genetica o meno, sapeva solo che ne esistevano tre tipi: melanico, isabellino e pomellato. L'ultimo era quello più diffuso, la classica colorazione marrone-rossa puntellata da pallini più o meno evidenti. Gli altri erano le eccezioni, i melanici tendevano al nero, gli isabellini al bianco. Erano speciali, eppure si trovavano in qualsiasi famiglia. Rari, ma non a sufficienza per essere dimenticati. Rari, ma probabilmente con lo stesso odore della madre.

Probabilmente perché Francesco, di daini, non capiva un accidente.

Gli piacevano e basta, gli piaceva il fatto che fossero abitudinari e che vivessero sempre insieme, che si mischiassero e che gli odori diventassero uno. C'era un gruppo di daini che trascorreva le sue giornate in una riserva naturale, a qualche chilometro dal paese. Non era difficile arrivarci, il biglietto costava poco e c'era anche un ristorante dove mangiare. Una parte della riserva era dedicata ai lupi, un'altra ai mufloni. I daini vagavano per conto loro. Francesco si stupì di pensare che ci avrebbe potuto portare Axel.

Certo, probabilmente c'era già stato con i suoi genitori, anche perché nei dintorni del paese non c'era niente da fare e la riserva era uno dei pochi luoghi insoliti in cui andare, ma Francesco ce l'avrebbe riportato uguale. I daini gli sarebbero piaciuti.

I pomellati avevano i pallini, come le coccinelle.

E Axel, negli ultimi giorni, aveva cominciato ad indicargli qualsiasi cosa avesse i pallini. Ogni tanto li contava, impegnandosi in un modo che sarebbe risultato ridicolo a chiunque non lo conoscesse. Ma Francesco lo conosceva, quindi li contava con lui. E quando Axel non riusciva a numerarli, quando si rendeva conto che chiunque sarebbe stato in grado di contare ciò che lui riusciva a malapena a scorgere, Francesco gli prendeva la mano. E allora ci scherzavano su, come se avessero sul serio dato per scontato ciò a cui non volevano pensare: <Ho deciso che come cane guida voglio un San Bernardo.>

<A questo punto è meglio un alano.>

<Terranova?>

<Prendi un orso che fai prima.>

<Troppo ingombrante.>

<Perché il San Bernardo è piccino, vero?>

<Più dell'orso di sicuro.>

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