Oltre

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Francesco non fece nulla per guardarlo in faccia, non ne aveva alcun bisogno.

Era una specie di magnete che tentava di avvicinarsi, tramite il polo sbagliato, a un'altra calamita. Tutti i suoi invisibili sforzi sarebbero stati respinti, se solo non avesse trovato il coraggio di girare sul suo asse e di mostrarle quella parte di sé che stava nascosta.

I piedi scalzi di Axel gli erano arrivati accanto, in un silenzio soffocato dai pensieri di Francesco. Il ragazzo biondo restò fermo, aspettando pazientemente una risposta che tardava ad arrivare. Francesco non avrebbe potuto saperlo, ma Axel avrebbe atteso ancora per ore, aspettando una qualsiasi parola defluita dalle labbra del ragazzo, labbra rimaste irrimediabilmente secche, ostinate e testarde.

Francesco sospirò. Curvò i limiti della bocca verso l'alto e annuì piano, forse solo per non fare la parte dell'imbecille che si buttava sul mutismo selettivo quando non sapeva cosa dire: <No, tranquillo.>

Axel si liberò di una quantità enorme di aria che aveva tenuta sospesa tra i denti, e sorrise, nella notte, come se gli avessero dato in dono il cielo intero.

Si sedette per terra, sul bagnasciuga, e lo fece quasi saltando, perché aveva smesso di credere di avere la terra sotto i piedi. Con l'alluce iniziò a creare dei solchi semicircolari sul terreno friabile, rimasero fermi, lui seduto e Francesco in piedi.

Era una scena divertente, in realtà. Perché sarebbe stato difficile avere una conversazione in quelle condizioni, ma nessuno dei due sembrava interessato a cambiare le cose.

Passarono dieci secondi, poi venti, poi Francesco, quasi esasperato dal modo in cui Axel aveva deciso di non parlargli, si sedette accanto a lui. Le teste delle persone funzionavano in modi strani.

Axel, nel percepire quel movimento, sorrise nel modo più innocente in cui si può sorridere, poi si arrestò di getto, finendo a osservare il proprio piede sulla sabbia come se avesse commesso un crimine imperdonabile. Deglutì e avvertì una fitta allo stomaco che lo costrinse a sporgersi in avanti, voltò la testa e, per un momento quasi impercettibile, gli sguardi dei ragazzi si incrociarono.

Axel sussultò, come un ladro colto in flagrante, derubato, a sua volta, di un momento che, evidentemente, gli era apparso irripetibile. Abbassò gli occhi celesti, sui quali il riflesso di qualche fonte luminosa creava uno spiraglio argentato, spostò un paio di ricci biondi che gli erano ricaduti sulla fronte dorata e portò indietro la schiena, allungando lo sguardo verso il gruppo di amici tra le onde.

Axel inspirò: <Perché non vai con loro?>

Francesco sorrise, cercando di evitare di esporsi troppo. Axel lo metteva in soggezione, non sapeva mai come prenderlo, come comportarsi e come scegliere cosa dirgli e cosa no.

<Posso farti la stessa domanda.>

Axel stette al gioco: <È buio.>

Francesco aggrottò le sopracciglia castane, si accorse in quel momento di come Axel non si fosse neanche tolto la maglietta celeste, come se sapesse, già in partenza, che, in quel momento, l'ipotesi di fare il bagno fosse improponibile.

Non si chiese il perché, anche poiché probabilmente non avrebbe mai saputo che rispondersi. Aveva l'impressione che Axel stesse giocando con lui, che potesse modellarlo come gli pareva e che fosse perfettamente in grado di mischiare le loro parole per portarle dritte dritte al suo obiettivo, senza creare alcun giro strano. Era bravo, Axel. Ogni tanto lo spaventava.

Francesco poggiò i gomiti sulle ginocchia: <È buio tutte le notti.>

Axel sorrise. Lo sapeva, come avrebbe potuto non saperlo? Ma saperlo non gli piaceva, in realtà. Ed era strano da spiegare, quindi non l'avrebbe spiegato.

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