Cose così

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Un filo di luce penetrò tra le fessure della persiana, arrivò sino a toccare il volto disteso di Francesco. Egli si portò le mani alla faccia e le sfregò con foga sulle guance calde, come se la volesse far scivolare via. Erano passati giorni, ma il quello che è nostro e il succhiare cazzi parevano divenute presenze costanti nella sua vita, più le respingeva, più tentava di renderle appartenenti al passato, più diventavano imponenti, con la loro ombra coprivano tutta la luce.

Tutta tranne quella che voleva accecarlo, all'alba del venerdì.

Sì, perché, evidentemente, qualcuno aveva pensato di andare al mare. E bisognava svegliarsi all'alba. Perché il mare era lontano ed Eva era tipo quei bambini rompicazzo che non riuscivano a stare fermi per più di due minuti di fila. Eva, di Matteo, non sapeva ancora nulla. E anche Francesco provava a non pensarci. Ogni tanto ci riusciva pure.

Il fatto era che, piuttosto spesso, gli si ancorava qualcosa nella mente, e non c'era verso di mandarla via. Diventava una sorta di condizione essenziale per vivere e, sebbene gli facesse male, non riusciva a esistere senza quel pezzettino di vita che si attaccava agli altri.

Spalancò la finestra e diede al letto una forma regolare, aprì l'armadio e inclinò la testa. Scegli un costume e non impiegarci tre ore. Fece la conta e ne prese uno blu. Non gli stava neanche bene, il blu. Tanto nessuno ti si filerà di striscio. Si mise quello blu.

Cercò i soldi nel cassetto della scrivania. Venti euro. Forse sarebbero bastati. Se li sarebbe fatti bastare. Non aveva mai voglia di chiedere soldi a sua madre, non sapeva nemmeno per quale motivo. Se glieli avesse domandati, lei glieli avrebbe dati di sicuro. Doveva fare la spesa, e comprarsi il pranzo. Era normale che avesse bisogno di soldi. Ma erano anche rimasti d'accordo sul fatto che Francesco avrebbe cercato un lavoretto per l'estate, e Francesco non aveva ancora cercato niente, quindi si sentiva in colpa.

Avrebbe potuto aiutare qualche bambino con i compiti della vacanze, qualche ora a settimana. Sarebbe stato pure divertente, forse. Alla fine, i bambini non erano male. Non gli dava fastidio che gridassero, né che si lamentassero. Avrebbe potuto fare lui tutti i compiti mentre loro guardavano un film, calmi, tranquilli e pacifici. Sarebbe stato perfetto e tutti avrebbero avuto quello che volevano. Avrebbe dovuto rifletterci sul serio, e abbastanza in fretta. Doveva trovare qualche bambino con poca voglia di studiare e informarsi sulla paga, sugli orari e cose così.

Cose così, gli sembrava una formula troppo carina e innocua per alludere a un'infinità di cose diverse.

Francesco aveva indossato, ancora una volta, le solite Vans nere che, per qualche strano fenomeno, avevano cominciato a virare verso il bianco e il rosso al contempo. La suola era diventata così sottile che gli sembrava di poter accarezzare la terra sotto i piedi. Mentre camminava verso la casa di Lukas e Axel, poteva sentire perfettamente i sassolini sbattergli contro il tallone. Era piacevole e odioso contemporaneamente. Avrebbe dovuto comprare un paio di scarpe nuove.

A separare la casa di Axel e quella di Francesco c'erano solo degli abeti altissimi, e lui, da bambino, amava pensare che, se vi si fosse arrampicato, sarebbe giunto tra le nuvole. L'idea di camminare, a piedi nudi, su batuffoli di cotone fluttuanti, gli permetteva di addormentarsi, e gli piaceva, perché le nuvole gli sembravano panna ed erano così carine. Attraversando il boschetto si domandò perché Axel e Lukas avessero cercato di integrarsi nel gruppo solo in quel momento, nonostante la piccola villa fosse occupata dalla famiglia, ogni estate, da qualcosa come vent'anni. Qualcuno gli aveva detto che amavano camminare tra i poggi ondeggianti di granturco e che tornavano solo a sera inoltrata, lui non sapeva quanto crederci, ma era l'unica versione a cui poteva attenersi.

E se la faceva bastare. Anche se li faceva passare da eremiti che vivevano in stile Heidi in mezzo ai campi.

Entrò nello spazioso giardino percorso da un sentiero in ghiaia. Non aveva mai messo piede nella proprietà, durante l'inverno era completamente abbandonata, l'erba diventava talmente alta che un cinghiale vi si sarebbe tranquillamente potuto nascondere, i fiori colorati si seccavano e appassivano lentamente, mentre i petali vellutati cadevano, uno alla volta. Forse era questo che aveva avvolto la casa con un velo di mistero e incertezza, forse era questo che la rendeva così attraente.

Sarebbero andati al mare con un furgone guidato da Lukas e, detto sinceramente, Francesco non sapeva quanto fidarsi, ma non avrebbe protestato. Il veicolo era bianco e sembrava una sorta di piccolo autobus. Francesco scorse Eva, appoggiata alla portiera e intenta a parlare con Lukas, sorridevano. Li salutò ed Eva salutò lui. Forse lo salutò anche Lukas, ma Francesco non lo guardò.

Lara stava salendo sul furgone con un gesto agile, mentre i capelli color miele le finivano davanti alla fronte e la costringevano ad allontanarli dal volto. Nel compiere questo gesto si accorse di lui, gettò lo zaino su un seggiolino e percorse lo scalino a ritroso.

<Ciao!>

Sorrise.

<Ciao.>

Lara lo prese per l'avambraccio, trascinandolo sulla vettura bianca: <Siediti dietro, con me. Devo chiederti una cosa.>

Francesco non si oppose e la seguì nell'ombra della vettura. Gli fece piacere sapere che volesse stare con lui, supponeva che fosse una cosa carina. Lara era sempre carina. E poca gente era carina con le persone carine. Gli bastò pensare a Matteo.

Non pensare a Matteo.

Era una forma di autotutela, non pensare a Matteo. Una protezione della propria esistenza volta a continuare a esistere senza scoppiare a piangere. Cercando di dimenticarsi il succhiare cazzi. E tutto ciò che ne era derivato.

Si sedettero nei posti più lontani dal conducente, in terza fila. Attesero che salissero anche gli altri. Eva lo fece per prima e chiese a Lara se avesse preso le birre, Francesco ebbe l'istinto di guardarsi attorno e di cercare Axel, anche solo per vedere la faccia che avrebbe fatto in quel momento.

Dopo di lei fecero il loro ingresso due ragazzi, il primo salutò Eva, ma non degnò né Francesco, né Lara di uno sguardo. Lara mormorò un vaffanculo senza nemmeno farci caso. Il secondo fece esattamente il contrario. Lara gli sorrise e poi dedicò un vaffanculo pure a lui. Erano due sconosciuti, forse fratelli amici di Lukas. A Francesco non interessava sul serio. Era in attesa, e non se ne rendeva nemmeno conto. Aspettava qualcosa che non era in grado di realizzare, e guardava fuori dal finestrino come se sperasse in un nuovo sole.

Entrò poi Lukas e gli occhi azzurri si posarono, uno ad uno, su ogni passeggero, si sedette al posto del conducente e accese la radio, come se fosse un gesto necessario.

L'ennesima hit estiva priva di senso si impadronì dal furgone, e Lara sbuffò impercettibilmente.

Per ultimo, entrò Axel. Sussurrò qualcosa a Eva e si sedette in seconda fila, al fianco dei due innominati. Non guardò attorno a lui, né parve voler alzare gli occhi. I ricci biondi, un colore diverso da quello di Lara, che sembrava tendere alle tinte del tramonto, furono l'unica cosa che Francesco poté scorgere di lui. Certo, si aspettava almeno un saluto. Un ciao, una mano mossa a destra e a sinistra. Invece niente.

Almeno fino a quando si girò.

Francesco distolse lo sguardo, meccanicamente. Axel sembrò fingere di non essersene accorto, come per stare al gioco, e sorrise.

Non mostrò i denti, curvò solo le labbra, gli occhi divennero più sottili e, sulle guance si formarono due buchini. Se solo avesse smesso di fissare i lacci delle scarpe, Francesco avrebbe avuto qualche reazione strana, ma sarebbe andata ancora peggio se fosse rimasto fermo nella stessa posizione, come se stesse negando un saluto innocuo.

I sensi di colpa lo invasero e, quindi, alzò la testa, pronto a rivolgergli uno spavaldo segno di saluto.

Ma Axel si era girato, guardava oltre il finestrino, sembrava assorto nei suoi pensieri, Francesco poteva immaginarli prendere forma, correre sull'erba verde e salire sugli abeti mossi dalla brezza dolce.

Salutarlo adesso sarebbe stato stupido.

Sospirò, vagamente e innocentemente rassegnato, per poi tornare a contemplare le stringhe.

Un istante dopo, l'indice di Lara toccò il suo gomito.

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