Foglie

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<Sono di troppo?> Lara apparve, all'improvviso, di fronte a loro. Sorrise, ondeggiando piano con il busto. Aveva la coda di cavallo spettinata dal vento che si era alzato nel cortile, un ciuffo più corto degli altri le ricadeva sul volto solare e percorreva una curva sottile. Francesco pensò che somigliasse al fiore di un ciliegio. Non sapeva perché.

Cercò di guardarla per non guardare Axel.

In bilico tra il sei capitata appena in tempo, mi hai fermato prima che facessi qualcosa di stupido e l'allontanati un po' e permettimi di fare qualcosa di stupido.

L'idea di sbagliare era talmente attraente da risultare lontana, impossibile da raggiungere e anche, solamente, da assaporare da un punto distante. Forse persino dolorosa, avrebbe provato una fitta al cuore, se solo fosse riuscito ad assistere alla scena dall'esterno, fuori dall'involucro spesso costituito dalla sua ingenua attitudine a divenire cieco di fronte all'evidenza.

Ma sentiva lo sguardo di Axel bloccato su di lui.

Attendeva, ancora, una risposta. Quasi curioso, ansante.

Era utile, il terrore. Spingeva, contemporaneamente, da due lati diversi: uno lontano dal pericolo e uno vicino a esso al punto di sfiorarlo. Era l'incoscienza a dirigerlo da una parte all'altra.

Guardò Axel, sperando con tutto il cuore che avesse il coraggio di dire qualcosa a Lara, visto che lui non era sufficientemente stabile per mettere in linea due parole che non riguardassero la confusione ululante che gli lacerava la mente.

<Non sei di troppo.> Axel parlò, dalle labbra si intravidero alcuni denti bianchi.

<Meglio così.> Lara distese alcune pieghe del vestito con le mani: <Mi eravate mancati.> E si sedette accanto a Francesco, sprofondando nel muretto come se fosse svenuta all'improvviso. Li guardò per quelli che furono dieci secondi buoni, poi constatò: <Non avete mangiato un cazzo.>

<Io ho quasi mangiato una foglia.> Axel portò il bicchiere all'altezza della spalla, sorridendo. Francesco si scoprì a guardarlo di nuovo, lasciando le labbra modellarsi in una dolce smorfia che alludeva alla felicità.

<Okay.> Fece la ragazza, annuendo: <Era buona?>

<Non l'ho mangiata, la stavo per mangiare.>

<Okay.> Ripeté, scuotendo piano la testa.

E Francesco si domandava cosa sarebbe successo se solo Lara si fosse alzata, se avesse deciso di andarsene e di tornare sulle sue, se li avesse lasciati soli.

Lui avrebbe dovuto rispondere ad Axel, e avrebbe potuto diventare suo amico.

Come Eva, come Lara.

Ma non era normale. C'era qualcosa, in tutto quel casino, che gli pesava nello stomaco. E non era giusto, e si chiedeva cosa ci fosse di male, e non riusciva a rispondersi e se lo chiedeva di nuovo. Gli faceva male la pelle, come se se la fosse bruciata avvicinandosi troppo al sole.

Era un bruciore piacevole, quasi agognato. Un effetto di una causa voluta, desiderata come il riflesso della luna di un pozzo.

Quanto gli piaceva, quella luna.

Guardò Axel, per un istante, e lo vide lasciar correre via la mente, lontano, in un altrove fatto di cose che Francesco non avrebbe nemmeno potuto immaginare.

Lara gettò un'occhiata fugace allo schermo vitreo del cellulare: <Tra dieci minuti devo essere a casa. Voi che fate?>

Era strano, il voler bene, assurdo e a tratti malvagio, funzionava come uno specchio rotto che deformava l'immagine contorta di un ideale. E, più si sentiva distante dalla normalità, più ne era ossessionato. Più voleva raggiungerla, più l'idea di scappare lo attraeva, ed era affascinante, come un sogno, come il petalo di un fiore meraviglioso del colore del mare.

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