Normalità

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Francesco sbatté ripetutamente le palpebre, ormai divenute pesanti, cullate dal movimento ondulatorio del veicolo e dalle riflessioni che, tuttavia, non volevano lasciarlo andare. Non comprese immediatamente le intenzioni della ragazza, non lo aveva mai fatto, d'altronde, ma non impiegò molto tempo a riconoscere, nei suoi occhi, quell'euforia leggera e febbrile, un'emozione tendente all'impulsività, ma ben più consapevole. Consapevole fino a mettergli addosso una paura tremenda.

Eva aveva il pieno controllo delle sue parole e di ciò che potevano comportare agli altri, amava giocare con questa sua capacità. Il fatto che, spesso, lo facesse per secondi fini, aveva sempre reso Francesco titubante di fronte all'eventualità, nonostante sapesse perfettamente che, in questo caso come in tutti gli altri, il secondo fine restava evidente solo a lui e a lei, per gli altri era una sorta di tabù incomprensibile. Tutto ciò gli piaceva, sapeva di essere l'unico a poterlo decifrare.

Ma, questa volta, il tabù andava persino al di fuori di quanto lui potesse immaginare. Forse lui faceva solo finta di non saperlo.

Scosse la testa riccia e sollevò le folte sopracciglia, alludendo a un sorriso inquisitorio: <Non credo di aver capito.>

Axel sbucò da dietro, farfugliando qualcosa che sapeva di non somiglio a Gesù bambino!

Eva allontanò il capo dalla spalla del ragazzo, fece scorrere la schiena verso la sommità del seggiolino e affondò i suoi occhi in quelli di Francesco: <Guardalo, è identico.> Indicò Axel con entrambe le mani: <Facessero un live action sulla vita di Gesù, lui potrebbe tranquillamente fare i casting. Così scriverebbe nella bio di Instagram teen Jesus in "Life, death and miracles".>

<Nome di merda per il live action.> Axel lo disse tutto d'un fiato, e Francesco ebbe l'impressione che stesse cercando consenso nel suo sguardo.

Provò a darglielo, e ci provò sul serio. Ma aveva un filo di carne che gli scendeva dallo stomaco e che gli bruciava forte, nella pancia, nelle gambe. E soffriva un po', proprio perché tutta quella frenesia non trovava il modo di uscire.

E quindi lui la lasciava là, fingendo che non esistesse.

Solo per soffrire un altro po'.

E Axel, con un sorriso tirato a metà, restava in silenzio.

Era a disagio, poiché con Eva non aveva praticamente mai parlato, con Lara sarebbe stato meglio non averlo mai fatto, e Francesco alternava sorrisi a sguardi simili al disgusto che gli bruciavano tutti gli organi dall'interno.

Il fatto era che suo fratello somigliava a un tornado di desideri esauditi che vorticavano caoticamente, finendo per travolgere anche lui. Quindi, Axel lo seguiva dappertutto, come una pecorella, e si dirigeva ovunque si dirigesse lui, anche solo per avere l'illusione di essere in grado di farsi qualche amico. E quindi finiva catapultato in gruppi di gente con cui non aveva assolutamente nulla a che fare. Si impegnava in tutti i modi a sembrare simpatico, almeno un po', e faceva di tutto pur di essere gentile. Era faticoso.

E poi, come se non bastasse, negli ultimi tempi la situazione si era fatta ancora più complicata.

Anche clinicamente, per intendersi.

Questo influenzava soprattutto la sua concezione dell'inevitabile. Ogni giorno, i diciotto anni erano sempre più vicini, e lui non poteva nemmeno permettersi di definire qualcuno un amico. Stava crescendo, eppure aveva sempre l'impressione di somigliare a un bambino.

Perché quello che stava vivendo era letteralmente il suo ultimo spiraglio di luce, poi sarebbe affogato. Aveva i giorni contati, e li viveva lasciando che sparissero uno dopo l'altro, restando immobile. Si era abituato a credere che fosse normale.

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