Fiordilatte

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Francesco fece girare la chiave nella toppa. I cardini stridettero, forse troppo. Avrebbe dovuto metterci dell'olio, era convinto di averne un po', in cantina, ma quello non era decisamente il momento adatto per compiere qualche superfluo lavoro manuale. Il ragazzo entrò nella cucina, scaraventando lo zaino ai piedi dell'attaccapanni.

Ancora una volta lo vide spoglio, deserto.

Su di esso troneggiava solo la sua felpa nera, quella che non metteva da secoli ma che non aveva voglia di riporre nell'armadio, dal momento che, prima o poi, sarebbe potuta risultare utile.

Prima o poi.

Constatò di avere fame: durante il pomeriggio aveva mangiato quanto un febbricitante e, nonostante non tendesse a riempire voracemente lo stomaco, neanche in situazioni normali, sentiva l'irrefrenabile bisogno di masticare qualcosa.

Aprì la dispensa e la percorse, in lungo e largo, con lo sguardo. Di marmellata ne aveva parecchia, questo era ovvio, ma l'idea di condire la pasta con della confettura di albicocche non gli pareva brillante. Anche i filetti di merluzzo grigliati, rigorosamente in scatola, non mancavano. Ma gli facevano piuttosto schifo, i filetti di merluzzo grigliati.

Aveva voglia di gelato.

Ma il gelato non ce l'aveva.

Prese il latte e riempì una tazza abbondante, anche solo per avere la vaga idea di star mangiando qualcosa di simile a del gelato sciolto. Per comprare il gelato, nel paese, bisognava andare nel bar che dava sulla piazza della chiesa. C'erano due gusti piuttosto decenti: fiordilatte e stracciatella (completamente identici, tra l'altro, nel secondo ci si poteva ritenere fortunati a scovare un pezzetto di cioccolato fondente mezzo sciolto). Tutti gli altri gusti erano ritenuti immangiabili, dal momento che un suo compagno di classe aveva avuto un attacco di diarrea dopo aver avuto il coraggio di sperimentare la pesca.

Su TripAdvisor, la gelateria non brillava.

Tuttavia, nessuno sembrava farsene un dramma, e il fiordilatte, in fondo, andava più che bene.

Prima di andare a letto, Francesco chiamò la madre. Parlarono a lungo, di Eva, del perché non la inviti a cena, ogni tanto?, del non ti senti mica solo, vero?, del mercoledì torno, così magari andiamo un giorno al mare solo io e te. Avevano anche parlato della possibilità di far trovare a Francesco un lavoro estivo, e avevano deciso che si sarebbero informati per sapere se ci fosse qualche bambino che aveva bisogno di ripetizioni.

Poi la chiamata si chiuse, e Francesco sentì la voglia di addormentarsi nel silenzio più profondo del mondo.

Guardandosi attorno si rese conto, per l'ennesima volta, di quanto fosse deserta quella casa, troppo grande per un diciassettenne, ma troppo piccola per ospitare feste o cose del genere.

Pensò che, magari, avrebbe potuto seguire il consiglio di sua madre e invitare qualcuno a cena, ordinare una pizza e mangiarla davanti a un film. L'idea non era male, lo turbava solamente il dover prendere coraggio e domandare a una qualsiasi persona, dal momento che preferisse evitare di chiedere ad Eva.

C'era Lukas.

Ma anche Axel.

Si domandò con chi passasse il tempo lui quando Eva e Lukas stavano insieme.

Magari si sentiva solo anche lui, magari aveva bisogno di un amico, magari era una di quelle persone che, dopo la timidezza iniziale, si aprivano e cominciavano a parlare per ore di tutto quello che passava loro in mente. Sarebbe stato carino.

D'istinto si ritrovò a pensare alla giornata appena trascorsa e troppe cose gli arrivarono alla mente, tutte insieme, senza contegno né ordine, come pensieri, come quelle scie di luce. Come quella scia di luce. Come l'improvvisa voglia di voltarsi verso Axel, di contemplare la sua lieve assenza, di essere una piccola presenza che necessitava, indissolubilmente, della sua esistenza per vivere.

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