Sole

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Francesco inspirò, per poi lasciare il fumo mischiarsi al cielo.

Tanto posso smettere quando voglio.

Osservò i rivoli grigi issarsi verso l'alto, li vedeva unirsi e separarsi, come nuvole sottili, quasi trasparenti, ma non a sufficienza per scomparire.

Si sentiva come se fosse stato fatto di nebbia, appena al limite tra ciò che esiste e ciò che non è nulla più che un'illusione. Si guardò le mani, come ad accertarsi della sua effettiva realtà. Le vide contrarsi e diradarsi, scivolare via, tra i rami degli alberi al di fuori della finestra. C'era qualche lampione acceso, ma gli risultò distante, irraggiungibile, persino meno reale della nebbia stessa. Deglutì piano, quasi temendo che qualcuno lo potesse sentire nella stanza vuota. Passò le dita sul davanzale freddo, percorse le incavature e le sporgenze, come se potesse leggervi una mappa senza meta. La notte si richiudeva in un silenzio che gli perforava i timpani. Provò a piangere.

Non ci riuscì.

Sentiva le lacrime pizzicargli gli occhi, per poi bloccarsi sotto le ciglia.

Inspirò ancora e si sentì in colpa, era stato così bene da non riuscire ad ammetterlo a se stesso. Forse non voleva crederci, forse avrebbe continuato a negare fino alla fine, fino a quando tutto non gli sarebbe marcito nel petto, come un sogno lasciato inespresso per troppo tempo. Aveva paura, aveva talmente tanta paura da aver consumato più sigarette del necessario.

Quella sera, la luna era scomparsa sotto una coltre di nuvole.

Nulla era più coperto dalla sua ombra.

Involontariamente, si chiese cosa stesse facendo Axel in quel momento. Sorrise, immaginandolo addormentato, le labbra appena schiuse sul cuscino e il buio ad invadergli la vista, come se qualcuno gli stesse tenendo le mani davanti agli occhi. Quel qualcuno non era lui.

Con tutta probabilità stava dormendo anche Eva, nell'attesa abituale di un'alba che si costringeva ad aspettare ogni giorno. Era testarda, determinata, assurda e talmente brillante da incutergli qualcosa di simile al fumo nelle narici. Come conosceva la disposizione dei mobili nella sua stanza, avrebbe saputo leggere gli occhi color cielo in un attimo, nel tempo sufficiente a farli incontrare con i suoi. Senza pensarci, prese il telefono ed entrò nella sua chat. Scrisse velocemente e inviò senza doversi spiegare il motivo, non aveva realmente bisogno di trovare moventi o cause, lei andava incontro a disastri senza neanche accorgersene, come un piccolo tornado di fulmini scintillanti. Lo avrebbe compreso prima di lui. "Oggi ci vediamo? Penso di doverti chiedere una cosa."

Spense lo schermo e attese, quasi sperando che gli rispondesse di andare da lei in quello stesso istante. Non aveva nulla da chiederle, così come non avrebbe saputo cosa dirle.

Si appoggiò al davanzale e guardò verso un punto indefinito oltre le montagne nascoste tra le ombre. Deglutì e gli sembrò che la saliva avesse formato un alveare nel suo esofago.

Aveva ripercorso così tante volte gli eventi della serata da aver perso i loro contorni. Si stavano mischiando in modo confuso, aveva l'impressione che nulla sarebbe più rimasto lo stesso, se solo non avesse smesso di ricordare un sentimento che non era in grado di definire. Ricordava solo una paura concreta, un volto che gli era stato troppo vicino e che lui non avrebbe mai allontanato. Parole destinate a rimanergli nello stomaco e che invece erano uscite, come un flusso di coscienza che si libra privo di punteggiatura. Francesco non si apparteneva più, era completamente estraneo a sensazioni che lo rendevano incorporeo. Si sentiva più di nebbia che di cielo. Tutto aveva così poco senso da indurlo a consumare l'ultima sigaretta.

Chiuse la finestra e si buttò sul letto.

Chissà se Axel è nebbia o cielo, si chiese.

Pensò che, se avesse avuto coraggio, glielo avrebbe domandato. Tanto erano abituati a parlare senza alcun filo logico.

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