C'era per forza qualche assurda congiunzione astrale che obbligava Francesco a vivere in mezzo a gente che non riusciva a svegliarsi dopo le sette e un quarto di mattina.
C'era, perché altrimenti non si spiegava perché finisse sempre alzato ben prima di quanto volesse. Da una parte era colpa di Eva con la sua innata necessità di assistere all'alba contando le nuvole, dall'altra di Axel con il suo bisogno di affetto e di baci dati di sfuggita tra un sorriso e l'altro.
Francesco pensava che i due sarebbero andati d'accordo, il solo pensiero gli piacque a dismisura.
Sarebbero potuti uscire tutti insieme, mentre Eva raccontava loro di quegli episodi imbarazzanti che ricordava solo lei. Sarebbero usciti e Francesco sarebbe stato bene.
Bene come stava in quel momento, mentre Axel veniva inondato da tutta quella luce che affondava nell'aria densa della stanza. Aveva preso il cuscino tra le mani e tamburellava assiduamente sulla federa, impaziente. Rideva, con la voce dipinta dal sonno e gli occhi arrossati. Rideva e gli baciava talvolta il naso, talvolta la guancia.
<Alzati!> Inclinò la testa all'indietro, allungando la gamba fino a far toccare i due piedi nudi: <Ho fatto il conto. Abbiamo sessantaquattro giorni di tempo, non ne voglio sprecare mezzo.> Axel si tirò in ginocchio, puntellando con l'indice il gomito di Francesco: <Qual è la percentuale di sessantaquattro giorni nell'anno?>
L'altro, dal canto suo, faticava ad aprire gli occhi. Lasciava che l'odore della mattina, la voce di Axel ed il cinguettio scattante degli uccellini gli invadessero la mente, mentre il ragazzo gli si gettava accanto, innalzando le braccia al soffitto.
<Ho voglia di fare tutto.> Axel rise e si voltò verso Francesco. Aveva il viso arrossato dalla gioia, le labbra rosee e le dita calde. I capelli sembravano più biondi del solito e gli occhi rilucevano da soli, come se avessero trovato l'esatta quantità di buio da contrastare. Era stabile in quell'equilibrio silenzioso e le rondini gli volavano nell'iride che rendeva splendida la stanza intera.
Si sporse e posò piano le labbra sulla guancia di Francesco, mentre gli sfiorava la pelle con una mano. Dopo essersi allontanato gli sorrise ancora, immensamente abbagliato da quella mattina arrivata troppo presto.
<Tutto è un sacco di cose.> Mormorò, quando Axel si sdraiò perpendicolarmente a lui, con la testa sul suo petto e le gambe che sporgevano dal letto, come se non vedessero l'ora di saltare fuori e tuffarsi in una nuova giornata, stile cartone animato per bambini dai quattro ai sette anni.
<Tutto è troppo poche cose.> Axel mosse i piedi e sorrise ancora, come se sorridesse più di quanto il suo volto potesse consentirgli: <Un tutto non mi basta.>
Francesco non lo sapeva, ma Axel aveva sempre avuto paura di schiudere le palpebre. Passava minuti interi ad aspettare il coraggio sufficiente per guardare la luce, interminabili minuti che suddivideva in secondi, a loro volta separati in attimi che non distingueva mai ma che esistevano come alberi centenari.
C'erano le eccezioni, quei giorni talmente, perfettamente splendidi nei quali il mondo si illuminava da solo.
L'ultimo giorno di scuola, la vigilia di Natale, il giorno in cui la nonna tornava a Nantes dalla periferia di Parigi, il giorno in cui si era promesso che avrebbe cercato il ragazzo italiano per tutto il paese e che gli avrebbe rivolto la parola, il giorno in cui si era svegliato sapendo che il ragazzo italiano gli aveva rivolto la parola, il giorno in cui era andato al mare insieme a Francesco, il giorno in cui Francesco l'aveva chiamato, il giorno in cui aveva mangiato il gelato con Francesco, il giorno in cui Francesco gli aveva mostrato le rondini e il giorno in cui si era svegliato accanto a Francesco.
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Lux
RomancePer amore la gente fa cose strane. C'è chi stermina eserciti, chi piange per giorni, chi attraversa nazioni intere desiderando un solo bacio, chi legge libri in codice braille in lingue che non conosce. Francesco faceva parte di tutti e quattro i gr...