Icaro

182 20 19
                                    

<Era andato tutto bene, Eva. Tutto.>

La finestra spalancata sulla notte li accoglieva come se fosse stata l'ultima. Francesco stava appoggiato al davanzale con i gomiti, mentre il volto giaceva, silenzioso, sulle mani fredde. Eva gli rimaneva accanto, seduta con le gambe protese verso la notte. Francesco le aveva detto un milione di volte di scendere e di evitare di cadere giù, ma Eva aveva sempre fatto di testa sua.

E poi, un metro al di sotto di loro, c'era il tetto della terrazza, anche se per Francesco era come se non esistesse.

<Pensavo che per lei fosse okay, che non avesse problemi, e invece c'è sempre qualcosa che non va. Sempre. Non riesco a parlarle una volta senza litigarci, non ce la faccio. E io le voglio bene, Eva. Gliene voglio un mondo, ma c'è qualcosa tra di noi che non funziona. Però io non capisco cosa e mi sento scemo, perché sarebbe potuto andare tutto bene, e invece finisce tutto per incasinarsi, ogni volta.>

Eva non parlò. Anche lei aveva un milione di cose da dire e le avrebbe dette, solo non in quel momento. Odiava i silenzi durante le conversazioni, ma Francesco ne aveva bisogno, più di quanto volesse riconoscere.

Sentiva freddo, come se il buio avesse portato con sé l'inverno. Le sembrava che la notte avesse parvenza di vuoto. Avrebbe giurato che, se lei e Francesco avessero allungato le dita verso le stelle, qualcosa li avrebbe risucchiati via.

Ma Francesco stava fermo, lei tremava silenziosamente. Era nervosa, arrabbiata, e, non potendo manifestare le proprie emozioni in presenza di Francesco, si limitava a fremere senza dire nulla. Non era il tipo di persona che tendeva a nascondersi, anzi, avrebbe preferito mille volte scoppiare e distruggere tutto quello che aveva in camera.

Ma c'era Francesco.

Accanto a lei sedeva la persona più buona del mondo, una persona che stava soffrendo nel modo più acuto e soffocante immaginabile.

Eva lo avrebbe abbracciato, gli avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene, ma, alla fine, non ci credeva più completamente neanche lei.

E Francesco non si meritava tutto ciò. Non si meritava false speranze, non si meritava il terrore scaturito dalla sua stessa, piccola, felicità. Francesco non si meritava nulla se non spensieratezza.

E Francesco e la spensieratezza sarebbero sempre stati su due rette parallele.

<Mi sembrava felice quando le avevo detto di Axel. Mi aveva detto "ho aspettato diciassette anni che tu mi parlassi della tua situazione sentimentale" e poi ha mandato tutto a puttane. Mi sembrava che per lei andasse bene, Eva. Ma a lei non va mai bene niente.>

Qualche uccello cantò nella notte  Francesco si sentì come se il buio lo volesse stringere sul suolo, come se le radici degli alberi lo avessero di nuovo legato con la faccia sul terreno umido. Respirava a malapena.

Si chiese se quella fosse frustrazione, l'idea di aver toccato il sole e di essere caduto giù, fino ai luoghi più profondi del mare. Come Icaro.

Si chiese anche se Icaro si fosse sentito colpevole, nel momento in cui si era reso conto di essersi avvicinato troppo al sole. Colpevole di aver osato, di aver tradito la fiducia del padre e di avergli causato il malessere che un figlio non avrebbe mai dovuto scaturire. Arrivò a convincersi che lo sbaglio di Icaro non fosse stato quello di aver ecceduto con l'imprudenza, ma quello di aver provocato un dolore nel padre al quale non avrebbe mai potuto porre rimedio.

Come se davvero Icaro, nel precipitare impetuoso e definitivo verso le onde del mare, non avesse pensato alla morte come cessazione di qualsiasi cosa, ma come impossibilità di chiedere perdono al proprio genitore.

LuxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora