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Ci sono dei riflessi assurdi, delle conseguenze completamente staccate dalla causa che le ha provocate. Succede perché l'uomo è irrazionale, reagisce in modi che lui stesso non comprende, soffre per ciò che lo rende felice, ed è inspiegabilmente felice di soffrire a sua volta.

Ed era come se Francesco avesse il solletico al cuore.

Gli veniva da ridere, ogni tanto, in momenti in cui non c'era niente da ridere.

Ed era una risata così irreale da non poter essere riconosciuta. Avrebbe preferito piangere.

Si muoveva come un funambolo incapace, posto su una corda a decine di metri di altezza, instabile in ogni singolo istante della sua vita. A volte correva, poi si fermava e si accorgeva di star tremando.

Fumava un po' più del solito.

<Potresti anche uscire con loro, qualche volta.> Eva stava seduta sul divano del salotto e, decisamente, occupava molto più spazio del necessario. Francesco non le rispose, e lei allungò un piede, fino a portarglielo in faccia: <Sai, è orribile il fatto che tu venga solo per controllare che io non sia morta o ubriaca sotto un ponte.>

<La prossima volta ti lascio morire.>

<Grazie.>

Cadde ancora il silenzio ed Eva continuò a muoversi incessantemente.

<C'è Axel che mi fa schiantare.>

Francesco sorrise, Eva era brava a raccontare storie. Iniziava sempre con c'è qualcuno che mi fa schiantare e poi continuava per decine di minuti. Gli piaceva ascoltarla: <Perché?>

<Io non so cosa ti ha detto l'altra sera, ma adesso mi chiede, qualcosa come tre volte al giorno, perché tu non esca con noi. Io gli dico che non lo so, o che hai da fare, e lui deve essere tipo convintissimo che tu lo odi e lo stia evitando come la peste.>

Sentirlo fu così assurdo da lasciare Francesco spaesato.

<Perché ti dice così?>

Ed Eva lo guardò come se avesse avuto scritto deficiente in fronte: <Ma io che cazzo ne so, scusa? Avevo tipo trentotto gradi e mezzo addosso, figurati se seguivo la conversazione.>

<Io non ce l'ho con lui.>

<Allora, per piacere, faglielo capire perché altrimenti questo si ammazza.>

Francesco rimase fermo, immobile, come se il suo sistema nervoso fosse andato in tilt. Eva non gli aveva chiesto di cosa avessero parlato, era come se conoscesse i confini prima ancora che lui li innalzasse. Che poi, in quella conversazione non c'era stato niente di interessante, davvero. Non importava nessuno se ad Axel piacessero i maschi o meno. E, tra l'altro, lui era rimasto così vago che Francesco, nel corso dei giorni, ogni tanto si era chiesto se l'avesse frainteso o meno. Poi si tranquillizzava dicendosi di non essere così idiota da poter fraintendere qualcosa del genere.

In ogni caso, non aveva l'autorizzazione a parlarne a Eva. Quindi si limitava a stare zitto, a esistere esattamente come aveva fatto fino a qualche giorno prima.

Axel non era un problema, e Francesco non poteva sinceramente capire come potesse uno come lui anche solo pensare di esserlo, un problema.

L'unica persona che Francesco non sopportava era Lukas.

Diciannove anni e la maturità di un bambino, diciannove anni e il viscidume di un vecchio che non smetteva mai di gironzolare intorno a Eva come un cane eccitato. Comprava da bere senza avere la minima idea di come gestire la situazione, rideva in una maniera scomposta e aveva lo sguardo perso, come se la sua mente non fosse in grado di concentrarsi sullo stesso argomento per più di cinque secondi di fila. E poi, a guardarlo, somigliava così tanto ad Axel da dare le vertigini. Era una sua versione sbiadita, con gli occhi normali, i capelli normali e la totale mancanza di vivacità.

Eppure, andavano in giro come se Axel fosse stato la sua ombra, più piccola, nascosta e spaventata anche solo dalla luce. Ed era strano. Le cose non sarebbero dovute andare così. La gerarchia di quella famiglia aveva qualche problema di fondo.

<Hai sentito tua madre, oggi?>

Francesco annuì: <Tra un po' la richiamo.>

<Tra quanto torna?>

Lui non lo sapeva. Non lo sapeva mai.

Nessuno disse niente per un po', poi Eva annunciò che sarebbe dovuta tornare a casa per cena e Francesco non fece nulla per invitarla a restare, anche perché dava per scontato che la cena a casa sua sarebbe stata molto più triste di quella che le avrebbero preparato i genitori.

Rimase solo, e la stanza gli apparve più grande di quanto in realtà fosse.

Era vuota, piena di spazi bianchi che nessuno aveva mai avuto voglia di riempire. Era vuoto l'attaccapanni, la lavatrice, la sedia accanto al divano. E Francesco era solo.

Sua madre aveva iniziato a lavorare fuori quando lui aveva compiuto quindici anni. Non trascorreva a Roma tutto il tempo, solo alcuni periodi più o meno lunghi. E Francesco sapeva cavarsela, in realtà. Non aveva mai avuto bisogno di chiedere aiuto, e si era ripromesso che non sarebbe mai successo. Sapeva fare la lavatrice, e il risotto con gli asparagi, e la crostata senza burro. Non era male nemmeno a stirare.

Era solo, però.

E la casa era sempre immensamente vuota.

Per un attimo si chiese come sarebbe stato vivere in una famiglia come quella di Axel e Lukas, con cinque fratelli e due genitori. Aveva visto qualche film in cui c'era tutta quella gente in una casa, e gli era sempre sembrato tutto incasinato.

Avrebbe pagato oro per essere incasinato.

E, per un istante, pensò a quanto poco gli sarebbe servito per chiamare Axel.

Una decina di secondi, forse anche meno. Sapeva che gli avrebbe risposto. Sapeva anche che, probabilmente, avrebbero trovato subito qualcosa di cui parlare. Axel era una creatura contraddittoria, e quel suo essere indefinito attraeva Francesco, gli piaceva sul serio.

Gli aveva detto che sarebbero stati amici, poi era sparito.

Perché Francesco era un funambolo, e fuggiva quando aveva paura.

Se tu non fossi gay, direi che ti piace.

A ripensarci, era una frase divertente, assurda. Francesco ammirava Axel anche solo per averla pensata. Ed era un pensiero scollegato, indipendente, separato da quello che in realtà quella frase gli forniva.

Perché il suo essere in bilico gli dava la nausea e, ogni volta che provava a immaginare quanto sarebbe stato bello procedere, aveva solo voglia di buttarsi giù.

Cadere, come un oggetto inerme, privo di anima. Rantolare nel vuoto, rotolarsi nell'aria ed essere senza peso, senza corpo, un puntino ideale che accelerava senza potersi fermare, senza poter pensare. Ed era folle, era follia. E a Francesco l'aria tra i capelli era sempre piaciuta.

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