Epilogo - Incondizionalità

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Francesco bevve un sorso d'acqua perché quel panino alla melanzana sapeva di piscio. Si chiese da quanto tempo fosse lì, nella vetrina di un negozio nei pressi dell'aeroporto. Non si volle rispondere.

Gli aveva fatto una pessima impressione già prima di comprarlo, ma primo, a pranzo non aveva mangiato niente, secondo tra aereo, teatro e cena per due in un giorno avrebbe speso ben più di quello che spendeva, di solito, in due settimane. Quindi si sarebbe fatto andar bene il panino al piscio.

Buttò giù un altro boccone e continuò a procedere spedito, cercando disperatamente di non urtare nessuno con lo zaino e di non macchiare quello che era l'outfit più elegante che fosse riuscito a trovare.

Okay che non doveva andare alla prima di Romeo e Giulietta alla Scala, ma ci teneva lo stesso a sembrare un minimo presentabile, nonostante il suo armadio fosse composto fondamentalmente da jeans scoloriti e maglioni verdi.

Si era messo una camicia quasi nuova, nonché l'unica che i suoi coinquilini ritenessero adatta ad un contesto del genere. Tobia gli aveva detto che, con quella addosso, sembrava uscito dai Parioli con un Manhattan, con tanto di oliva, in mano. Lui aveva sorriso perché pensava che avesse ragione.

Roma gli piaceva. Gli piaceva sul serio.

Gli piaceva quella casina stretta e afosa, gli piaceva Villa Borghese e gli piaceva camminare senza perdersi mai.

Gli piaceva l'università, l'indipendenza, la sera a Trastevere e la birra troppo amara. Gli piacevano gli acquedotti e le albe di notti che non calavano mai.

Eppure, sul davanzale di quella casa da fuori sede piena zeppa di caffè, i fiori non c'erano.

C'erano Tobia e Gianluca, le ragazze che, ogni tanto, si portavano su, i libri, le penne e gli appunti di anatomia sul tavolo della cucina. C'erano i piatti da lavare, le sigarette spente e i freezer da sbrinare.

I fiori no.

Gianluca lo prendeva in giro dicendogli che, in quella casa, lui fosse sia l'unico fidanzato, sia quello che scopava di meno. Lui sorrideva perché aveva fottutamente ragione.

<Mi rifarò, prima o poi.> Provava a ribattere, senza mai smettere di guardare il davanzale.

<Sì, da vecchio.>

<Meglio di niente.>

Ma Francesco lo sapeva, ne era certo. Un giorno, presto, avrebbe avuto una casa con dei fiori fuori dalla finestra.

Mancava solo qualche aereo, qualche notte passata al telefono, qualche birra al sapore di attesa, poi avrebbero dato un senso a quel doppio diploma francese-italiano che non erano mai riusciti a sfruttare.

Doveva solo avere ancora un po' di pazienza, poi tutto avrebbe preso la piega che sognavano da quattro anni.

Francesco scrisse a sua madre, ad Eva, a Lara e ad Elena, dicendo loro che l'aereo era atterrato e che non era né morto, né in procinto di morire di fame. Continuò poi a camminare per quelle strade fredde che erano entrate, non si sa come, a far parte dei luoghi più intimi della sua memoria. Le conosceva alla perfezione, sapeva persino quali fossero le più tiepide e quali le più vivibili. Contava i secondi ai semafori e procedeva rapido, come se non avesse dovuto sul serio camminare ancora a lungo.

Francesco accelerò il passo, scivolando tra spalle sfuggenti e sguardi incerti. Si muoveva di fretta, comprendendo poco di ciò che la gente gli diceva intorno. Sorrideva come se non gli importasse di nulla. Aveva freddo e fingeva di non rendersene conto, riponeva tutta la sua fiducia in quella camicia troppo sottile e nella giacca verde scuro il cui scopo era farlo sembrare più grande.

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