Con me

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Nel locale era caldo, l'aria umida si riversava nelle loro facce e l'odore di nuovo faceva contrasto con il tessuto scolorito che rivestiva le sedie. Non era male, il posto. Sembrava solo vecchio. Lara era entrata per prima, zigzagando tra la gente in piedi al bancone, e gli altri due l'avevano seguita a ruota. Prima Axel, poi Francesco. Ogni tre secondi e mezzo Axel si fermava e guardava indietro, per accertarsi che Francesco non fosse morto nei meandri di quel bar minuscolo, e lui era costretto a bloccarsi all'improvviso, tutte le volte, per non pestargli i piedi e cadergli addosso.

E Axel sapeva di non doverlo guardare, di dover fare finta di niente e di comportarsi con naturalezza. Ma Francesco l'aveva chiamato. E l'emozione gli era entrata nella bocca, nelle orecchie e nelle mani, che avevano cominciato a tremare come foglioline e che lui si era costretto a bloccare con tutta la forza che aveva. Rispondere alla telefonata era stato così fottutamente difficile, e il cuore gli stava battendo così forte da impedirgli di sentire. Lukas aveva assistito alla scena, e aveva detto che era stata divertente. Axel l'aveva ritenuta uno strazio.

Ed era uno strazio anche camminare con Francesco dietro, morendo dalla paura di perderlo per tutta la sera o di vederlo sedersi con qualcun altro. Quella era forse la cosa più egoista che Axel avesse mai pensato, ma avrebbe odiato lasciare che Francesco si dimenticasse di lui. E non era solo egoista, ma anche stupida, perché avrebbero anche potuto parlare per ore, ma Francesco non gli avrebbe mai dato nulla di più che un sorriso.

Axel morse un'unghia e tolse, all'istante, la mano dalla bocca. Era maleducazione, e faceva anche piuttosto schifo. Doveva trattenersi. Anche se aveva paura, anche se gli saliva l'ansia e l'idea di chiudersi nei bagni da lì a notte fonda gli sembrava sempre più allettante. Lara si era fermata a parlare con dei ragazzi, e lui era soltanto .

Tendeva a consumarsi le unghie, a volte arrivava a farle sanguinare sotto il peso dei denti, mentre le guardava spezzarsi piano, circondato da un'apatia fredda e spessa.

In quei momenti finiva per piangere, osservava la mano cercando di focalizzare in essa il suo dolore, convincendosi che si limitasse alle falangi pallide, mentre tentava di ignorare la consapevolezza che esso stesse arrivando dal petto.

E faceva male.

Raggiungeva il volto, la fronte, le orecchie e gli occhi.

Quanto li odiava, gli occhi.

Da piccolo sognava di strapparli via dalla faccia e di gettarli lontano, sotto qualche albero frondoso.

Axel sapeva che il dolore maggiore arrivava nell'attesa del compimento dell'inevitabile. Doveva fare un viaggio, ed era normale che alcuni viaggi fossero più tristi di altri. Il suo, nella scala dei viaggi, era messo maluccio.

Si chiedeva perché tutto non potesse diventare buio immediatamente, risparmiandogli il tragitto e la consapevolezza che, un giorno, forse lontano, forse vicino, avrebbe perso tutta la sua luce. Quel barlume che teneva gelosamente tra i polmoni, sperando, ingenuamente, di poter rivivere in qualche modo assurdo.

Si fermò all'improvviso, anche solo per voltarsi e cercare Francesco, per cercare le sue mani nella folla e vedere se, anche lui, avesse le unghie distrutte. Forse lo fece troppo all'improvviso, perché l'altro gli sbatté contro. Dolcemente. Era dolce pure il modo in cui si scontrava con la gente. Di Francesco, era dolce qualsiasi cosa. Axel abbassò lo sguardo, nell'istante in cui l'altro, per non fargli male, gli poggiava una mano sulla spalla e trovava il modo più elegante sulla faccia della terra per tenerlo distante.

<Non mi perdo.> Sorrise Francesco, e Axel sentì un albero intero nascergli nei polmoni.

Riprendendo a camminare, trovò la forza di chiedergli scusa. E Francesco lo guardò con degli occhi che sapevano di perché cazzo ti stai scusando?

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