Carino

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Francesco era piuttosto convinto che il suo subconscio funzionasse male.

Male, malissimo, rovinosamente.

Come se appartenesse ad un'altra persona e si fosse infilato nel suo corpo per sbaglio.

Doveva essere per forza così, perché altrimenti non si sarebbe saputo spiegare nulla di quello che stava succedendo. Qualcosa gli stava prosciugando la capacità di ragionare, e quel qualcosa o era il subconscio o l'acqua troppo fredda che gli dava al cervello.

<Fra', non possiamo farci il bagno qui...>

<Perché no? Lo faccio sempre.>

Axel era ancora completamente vestito, titubante sulla roccia liscia che cadeva nell'acqua. La pozza non era altro che un ingrossamento di un torrente costellato di pietre levigate dalla corrente. Giaceva ai bordi del bosco di castagni, dove gli alberi lasciavano il posto alle distese di grano. Sembrava capitata lì per caso, come se il corso d'acqua si fosse rotto.

Un po' capiva Axel, ciò che la gente pensava quando arrivava alla pozza per la prima volta era che non avrebbe dovuto essere lì. Era sbagliata, una nota fuori posto in un componimento perfetto. Suonava male, non era nel punto giusto nonostante ogni cosa, nell'arco di metri, sembrasse diramarsi dallo specchio d'acqua, come se fosse nato per primo, prima dei castagni, della radura, prima del cielo.

Aveva visto ragazzi, bambini, rughe e risa. E Francesco voleva che vedesse anche Axel.

Che rimanesse impresso sull'acqua come era rimasto impresso su di lui.

Ma Axel faceva di testa sua.

Perché, ovviamente, non voleva rendergli le cose facili in alcun modo, no. Doveva per forza contrapporsi con tutte le sue forze alla creazione di qualcosa di bello.

Mentre Francesco era già in acqua, con i pantaloni molli fino a sopra il ginocchio e i capelli bagnati da goccioline che scintillavano al sole, Axel si era tolto solo le scarpe.

Ed era un traguardo, perché sembrava non volersi levare neanche quelle.

<Vieni?>

Axel lo guardò, senza soffermarsi troppo su di lui.

C'è sempre un pezzettino di anima che si sgretola quando si desidera così ardentemente qualcosa capace di lavare via ogni scintilla.

C'è sempre, e, ogni volta, si ha l'impressione che manchi continuamente meno tempo al tramonto.

Axel lasciò uno schizzo di Francesco scivolargli sui vestiti. Guardò l'acqua percorrere solchi più scuri sul tessuto e pensò a quanto sarebbe stato bello esistere per davvero.

C'è sempre un pezzettino di anima che sa di non farcela.

Un pezzettino minuscolo che trema e vola via, lasciando gli altri inerti.

Un pezzettino solo, e Axel si spegneva.

Sentiva le labbra fremere, come se volesse solo entrare nel fiume e accoccolarsi vicino a Francesco, voleva dimostrargli di poterlo fare, di essere come gli altri.

Come tutti quei ragazzi di cui gli aveva appena parlato, tutti quei ragazzi che si accalcavano l'uno sull'altro senza tremare o sentire il bisogno di divenire ombre, tutti quei ragazzi che si sfilavano i vestiti sapendo di essere in grado di farlo, di sopportare l'aria che bagnava il corpo.

C'è una linea sottile tra le ossa e la pelle.

Talmente sottile che una foglia d'ulivo potrebbe squarciarla.

Una linea oltre la quale dorme un mostro.

A volte il mostro dimentica di svegliarsi, altre volte cresce giorno dopo giorno, a volte divora la pelle, altre la vomita. Il mostro non muore, il mostro strappa la carne e recide quella stessa pelle troppo trasparente. Un effimero gatto colorato che ricorda una fine, il desiderio di scorgerla e di assaporarla lentamente.

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