Il lasciar essere dei girini

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Francesco, crescendo, si rendeva conto di quante cose gli piacessero sul serio.

Gli piacevano l'odore del miele e il chiarore sulle mura già bianche, le sei del pomeriggio, le lenzuola calde per via dei respiri, la sensazione che l'andare via fosse un'illusione fallace del restare.

Gli piacevano quei minuti persi a volersi bene, mentre il tempo passava e loro restavano insieme, ostinati. Gli piaceva il modo in cui Axel rimaneva nudo, con addosso solo la luce della sera, i capelli scompigliati che non stavano fermi un secondo. Il ragazzo si muoveva di continuo, incessantemente. Fremeva per via della necessità di esternare quell'emozione incondizionata, quel caotico sentimento che accomunava entrambi e che entrambi si attaccavano alla pelle.

Axel aveva scoperto che farsi guardare da Francesco era una cosa bella.

E Francesco era bravissimo a stare fermo ad osservarlo, ad ascoltarlo senza toccare niente.

Axel parlava, parlava di un milione di cose diverse. Gli diceva lo vedi quel quadro? Quello accanto alla finestra. L'ha fatto mio padre. Sono lui, mamma e Lukas da piccolo. Lukas era brutto anche a sei mesi. Mio padre ha fatto l'accademia di belle arti ed ha la fissazione di dipingere tutto. Quel quadro l'ha fatto qui, in Italia. È ambientato nel nostro giardino.

Francesco guardava il dipinto e gli piaceva. La madre di Axel sembrava qualcosa di etereo, irreale. Aveva un vestito bianco, sospirava pure attraverso la vernice.

<Come si chiama tua madre?>

<Elena. Ha paura che quel quadro la faccia sembrare finta, ma papà continua a ripeterle che solo un ingenuo penserebbe che sia finta e che, in realtà, una qualsiasi persona intelligente si renderebbe conto del carisma. Dovrebbe suggerirlo il movimento delle gambe o qualcosa del genere.>

<Non ti aspettare che io ti faccia un dipinto come simbolo del mio amore per te perché verrebbe fuori così brutto che avresti gli incubi per due settimane.>

Axel rise e Francesco pensò che le loro gambe stessero così bene se incastrate insieme.

Si tenevano per mano da così tanti minuti da non farci più caso. Sapevano che le loro dita si stringessero le une alle altre e lasciavano che si intrecciassero da sole, riconoscendole indipendenti.

Lentamente Axel si allontanò da Francesco, si voltò e tornò con gli occhi a pochi centimetri dai suoi.

Sorrideva, e Francesco si sentiva schiacciato sotto al peso di qualcosa che non avrebbe mai voluto controllare. L'avrebbe lasciato lì, a fare quello che voleva, ad essere libero di sentirsi il centro del suo piccolo mondo.

A Francesco sarebbe piaciuto essere spavaldo, fare finta che il fatto che fosse completamente nudo non lo turbasse, ma in realtà lo turbava eccome ed era la prima volta che lo vedeva senza vestiti e aveva la sensazione che non sarebbe stata l'ultima e non voleva mandare tutto a rotoli e non era decisamente capace di baciare un ragazzo nudo.

Avrebbe voluto dirglielo, ma Axel lo abbracciava e lui reagiva solo nei modi in cui non avrebbe voluto reagire.

<Tra un po' arrivano i tuoi, e quando arriveranno io dovrò essere come minimo a cinquecento metri da qui.>

<Nessuno ti sta trattenendo con la forza.> Axel lo baciò di nuovo, con una dolcezza smodata che fece pensare a Francesco che sì, lui lo stava decisamente tenendo lì con la forza.

<Mettiti qualcosa addosso, per favore.>

<No.>

Spogliarsi era una forma d'intimità a cui, probabilmente, non si sarebbero abituati mai. Si sentivano esistere in quel modo solo l'uno per l'altro, all'oscuro di chiunque. C'era qualche parte dei loro corpi che si era fusa insieme. Forse le punte delle dita, forse la pelle delle gambe, ma erano uniti, stretti inconsciamente e nel modo più lucido possibile.

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